{52° Capitolo}

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[Capitolo cinquantadue]

Jane

Il mondo sa essere davvero piccolo, a volte. Così piccolo da risultare addirittura claustrofobico. Ogni singolo essere umano, stipato nello stesso spazio limitato, in modo tale che l'uno tocchi l'altro, facendo spesso lasciare segni indelebili sulla pelle di ogni individuo.

Raramente mi è capitato in prima persona, a dirla tutta. Non mi sono mai lasciata influenzare dalle coincidenze, avendole ho sempre viste come assurdi scherzi del destino, e ultimamente ho iniziato a crederci ancora meno. Soprattutto dopo aver scoperto che la faccenda dell'università, che a me era parsa come un semplice caso fortuito, non era altro che una delle tante mosse di Sherlock Holmes per poter attuare il suo "piano".

Eppure, adesso, non ho la forza né la voglia di chiedermi come mai Ludmilla Dyachenko, la nuova inquilina del 222C di Baker Street, si sia ritrovata a Westminster, giusto in tempo per tirarmi sul marciapiedi e salvarmi la vita. Anzi: penso proprio che non lo saprò mai, a dirla tutta. Che non sia una combinazione è piuttosto ovvio, ma non considero questo il momento più adatto per indagare a fondo. Come se, in fin dei conti, davvero mi importasse sapere se mi stesse pedinando o meno...

«Grazie per aver guidato tu» dico, una volta arrivate davanti alla porta del mio appartamento. «Non penso che io ne sarei stata in grado» aggiungo poi, con una risatina per smorzare la tensione.

Lei, per tutta risposta, mi sorride in maniera piuttosto distaccata, gli occhi che rimangono intransigenti.

Mi allunga le chiavi della macchina. «Cerca di non farti investire, la prossima volta» mi ammonisce, nel suo inglese impeccabile ma dal forte accento russo. «Non sarò sempre pronta a salvarti, sappilo»

«Me ne ricorderò, in futuro» le garantisco, annuendo. Poi abbasso gli occhi, improvvisamente imbarazzata. «Non saprò mai come sdebitarmi, davvero...»

«Lascia perdere. Tieniti stretta la vita piuttosto. E i ricordi»

Rialzo in fretta lo sguardo, giusto in tempo per vederla salire in fretta le scale. Si ferma, però, alla fine della prima rampa, come se si fosse ricordata all'improvviso di avere qualcosa assolutamente importante da dirmi ancora, e si gira per tornare a guardarmi.

«Oh, e... Non dire a nessuno che ci siamo viste, intesi? Meglio che rimanga tra noi»

Mi lancia un veloce sorriso tirato e poi se ne va, questa volta sul serio, lasciandomi con solo un messaggio strano e una richiesta che non fa altro che alimentare i miei dubbi, ma nemmeno un saluto.

«D'accordo...» mormoro, sapendo bene che non mi sentirà mai, ma il pensiero non mi stravolge più di tanto. Poi mi giro per aprire la porta ed entro.

Il soggiorno, in disordine come lo avevo lasciato, mi sembra ora appena più accogliente di quanto mi sia sembrato in questi ultimi giorni, non so nemmeno come. Nonostante il buio e la luce arancione dei lampioni, mi sembra addirittura più luminoso del normale. Assurdamente acceso e pieno di vita.

Mi richiudo la porta alle spalle, accompagnandola con la punta delle dita. Vi appoggio poi la schiena e mi lascio scivolare a terra, lentamente, sotto il peso della stanchezza di questa giornata fatta di sentimenti contrastanti, corse contro me stessa, pregiudizi spezzati e tanta rabbia. Dovrebbe essere una di quelle giornate pessime, da dimenticare, perché sembra che ogni cosa mi sia contro. Ma io, in realtà, mi sento stranamente felice. Persino leggera. "Parlare" con Amy nel mio palazzo mentale deve essere stato più terapeutico del previsto. Sherlock aveva ragione, nell'affermare quanto sia utile averne uno.

Fermo ogni mio pensiero, prima ancora che la mia testa possa continuare a riflettere. Li blocco, inibisco, accorgendomi improvvisamente del modo in cui la mia mente ha iniziato a ragionare. Di come le idee fluiscano al suo interno, come un fiume inarrestabile. E la sola consapevolezza, ormai innegabile, mi fa alzare in piedi, sospirando stizzita. Mi provoca... Frustrazione, in un modo o nell'altro.

222B, Baker StreetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora