{56° Capitolo}

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[Capitolo cinquantasei]

Slavgorod, Russia•24 Agosto 2012

Mycroft Holmes aveva sempre odiato dover entrare in azione: il lavoro sul campo non era mai stato il suo forte, né particolarmente attraente per la sua mente che necessitava soltanto della sua comoda poltrona nel suo comodo ufficio. Eppure, quella volta si trattava senza dubbio di un'eccezione senza antecedenti, per la quale era riuscito, sebbene con parecchie difficoltà, ad evitare di entrare in incognito. Ed era grato a chissà cosa per questo.

Con una furia quasi cieca, Mycroft aprì le porte principali dello squallido ostello, al centro del più vile e malfamato quartiere di Slavgorod, Russia. L'odore stantio del piccolo androne dalle pareti grigie per il fumo gli fece rivoltare lo stomaco, mentre le luci fievoli e scadenti limitavano la sua vista. Prese un respiro profondo, quasi a farsi coraggio, e, seguito in fretta dall'agente Paul Daniels, si avvicinò con poche falcate al sudicio bancone che doveva fungere da reception, dietro al quale un ometto basso e scuro lo fissava con fare sospettoso.

«Devo sapere dove alloggia il signor Yaga» disse Mycroft, nel suo ottimo russo, allungando sulla superficie sporca una mazzetta di banconote del valore di almeno mille sterline. «Non discuta»

L'uomo lo guardò, facendo trasparire dal proprio sguardo una domanda che a Mycroft parve delle più noiose: "Cosa ci fa una persona tanto ricca in un posto come questo?". Non aveva tutti i torti, in fin dei conti: chiunque, in quel luogo distrutto dalla criminalità e la miseria, se lo sarebbe chiesto. Ma, d'altronde, quella sua aria da benestante fu il miglior incentivo che spinse l'ometto ad accettare l'offerta.

«Stanza tre, in fondo al corridoio» disse infatti, con voce gracchiante, afferrando il denaro con avidità malcelata. Lo contò velocemente e poi sogghignò, mettendo in mostra i denti mancanti. «Sempre sperando che lo trovi vivo. L'ultima volta non aveva per nulla un bell'aspetto»

Mycroft non si fermò nemmeno per ascoltare il suono della sua risata volgare, al pari di quella di un vecchio ubriaco. Seguì, invece, le sue indicazioni, lasciandoselo alle spalle con un moto di disgusto e indifferenza, nonostante avesse dedotto a prima vista dei due figli morti per overdose e la sua costrizione a lavori poco leciti per poter mandare avanti l'attività.

«Signor Holmes...» mormorò l'agente Daniels alle sue spalle, in un sussurro. «Io... Non credo che dovremmo essere qui»

«Questioni di famiglia urgenti come questa sono un ottimo motivo per farlo, invece» replicò freddo Mycroft, continuando a camminare. «Non s'intrometta»

La spia tacque, seguendo in silenzio il suo capo, finché entrambi non raggiunsero la porta con il numero tre scritto con una vernice rossa e sbiadita sul legno graffiato. Mycroft batté forte col manico dell'ombrello sulla superficie e attese immobile una risposta.

«Da

«Operazione Lazarus»

Passarono appena pochi secondi prima che la serratura malconcia scattasse e la porta si aprisse, lasciando così libero accesso ai due uomini all'interno della minuscola e spoglia camera.

«Spiegami immediatamente che cos'è questa storia!» gridò Mycroft, marciando verso la parete opposta all'entrata. Poi si girò, lo sguardo furente di chi aspetta impazientemente delle risposte.

«Ciao anche a te, Mycroft. Che c'è, salutare è passato di moda al Governo?»

Sherlock Holmes chiuse in fretta la porta, girando due volte la chiave nella serratura, per poi voltarsi e guardare il fratello con un sorrisetto beffardo stampato sul volto.

«Dopotutto, un "come stai" sarebbe gradito, visto che sono più di tre mesi che mi trovo in questo posto sperduto a rischiare la vita»

Mycroft sbuffò, infastidito. «Come stai?»

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