Capitolo 66.

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Fu concesso a Jungwon qualche settimana di pausa lavorativa, per riprendersi dall'incidente. Un periodo di convalescenza avrebbe dovuto farlo sentire meglio, invece stava peggio di prima, così tanto che temeva che gli fosse tornata la depressione. 

I giorni scorrevano lentamente. Talvolta i suoi amici venivano a trovarlo; Jaeyun lo faceva più frequentemente e se ne andava dopo poche ore, invece Heeseung restava per delle mezze giornate, a fargli compagnia. Jungwon amava trascorrere il tempo con loro, ma d'altro canto si rammaricava del fatto che il loro bel trio si era spaccato in due.

Le notti facevano spazio agli incubi. Jungwon si chiedeva perché sognava così spesso, del perché veniva svegliato dal suo stesso grido. Aveva paralisi continuamente, soprattutto in quell'ultimo periodo, e aveva attacchi di panico di notte. Durante questi ultimi, per farli passare, prendeva il cuscino e lo abbracciava forte, mentre rantolava in cerca di aria. Prendeva in mano la sua conchiglia e la stringeva, cosicché si ricordasse che apparteneva alla dea. Da quando l'aveva incontrata, non aveva mai smesso di venerarla e di compiere sacrifici in suo onore. Molte volte non disponeva di animali sacrificali, perciò si tagliava il palmo della mano e versava il suo sangue in una coppa. Non era un'offerta che normalmente si faceva a una divinità, ma Afrodite la accettava con gioia.

Quando il ragazzo stringeva il cuscino, oltre alla dea, pensava a Jongseong, a quanto sarebbe stato bello essere accolto tra le sue braccia, come ai vecchi tempi. Erano passati quasi cinque anni, ma il ricordo della loro storia era ancora vivido nella sua mente e gli mancava, terribilmente. Pensava che se davvero il tempo fosse il guaritore delle ferite inferte all' animo, lui sarebbe morto prima che potesse accadere. Il tempo era anche uno spietato assassino, oltre che un guaritore, ma in quel periodo, sperava di cadere vittima anche lui dei suoi subdoli e fatali tranelli, al più presto.
Anche se era arrabbiato con lui, lo avrebbe voluto tra le sue braccia, in quel preciso istante, esattamente come aveva scritto in qualche sua poesia. A volte immaginava che quel cuscino fosse veramente Jongseong, o che egli fosse proprio affianco a lui, ad accarezzargli i capelli, sussurrando che sarebbe andato tutto bene. Gli pareva persino di sentire quei tocchi, ciò lo aiutava sempre a prendere il controllo di sé e a calmarsi.
Purtroppo lo amava ancora e da quando si erano rivisti, non aveva più potuto nasconderlo. Come aveva detto Jaeyun, il suo cuore apparteneva a Jongseong e non avrebbe potuto sostituirlo con nessun'altro.

Era passato più di un mese, quando tornò a scuola. Appena varcò le mura dell' edificio, capì subito che qualcosa non andava; studenti e insegnanti, quando passava, smettevano improvvisamente di fare qualunque cosa stessero facendo e lo guardavano con aria torva e incredula. Sentiva sommessi bisbigli. Discorsi che non poteva e non voleva sentire, poiché temeva già di che cosa si trattavano.

La prima persona che gli aveva rivolto la parola era la ragazza, che gli aveva scritto la fantomatica poesia. L'aveva incrociato nei corridoi e, dopo essere arrossita di colpo e dopo aver accennato a un sorriso, lo salutò:

"Prof, bentornato!"

"Salve, Jennie." Ricambiò il sorriso.

"Come sta?"

"Molto meglio. Lunedì mi toglieranno il gesso. Grazie per l'interessamento." La salutò e fece per ricominciare a camminare, ma la ragazza lo fermò.

"Ma è vero che... I-insomma... Tutti dicono che..." Si interruppe ancora e si rese conto che la domanda sarebbe stata alquanto fuori luogo.

"Che...?" La incalzò Jungwon.

"Non importa."

"Allora va' in classe. Sta per suonare."

Appena Jungwon varcò la soglia della porta, gli studenti, come da prassi, si alzarono tutti in piedi, per salutarlo. Anche i visi di quei ragazzi erano torvi e gelidi. Nessuno tra loro gli aveva detto "bentornato", ma questo già se lo era immaginato.

Caduto dall' Olimpo~ Jaywon ✿Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora