Capitolo 71.

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Improvvisamente una luce sconosciuta gli fece riaprire gli occhi, come destato dal sonno che lui considerava "realtà". Quando l'immagine si era fatta più nitida, si accorse che si trovava in un campo, su un vasto e arido altopiano, che rifletteva la luce del sole come una gemma. Da seduto, si alzò in piedi goffamente. Disorientato, si guardò intorno e non vide anima viva, ma scorse i colli sottostanti, piccoli accenni di città lontane, che sembravano inghiottite dalla curvatura dei monti e dell' orizzonte, e piccoli paesini che erano come voglie, sulla pelle cosparsa del verde delle foreste e dal candore delle rocce. Era su un monte, da solo, o quasi; sentiva che c'era qualcuno, lontano, la cui presenza era imponente, così tanto che essa giunse al suo orecchio come un rombo di tuono, percuotendo le sue membra per un attimo. Non c'erano temporali in arrivo; il cielo era il più limpido che avesse mai visto. Eppure era convinto di averlo sentito. Si girò e intravide un edificio in pietra lastricata, dalle imponenti colonne corinzie. All' improvviso tutto gli divenne più chiaro.

Fece per andare, ma qualcosa lo trattenne, appoggiando una mano sulla sua spalla.

"Aspetta. Sei sicuro di voler andare?"

Jungwon si girò di scatto e il suo sguardo si incrociò con quello della dea. Quindi cadde sulle ginocchia e disse: "mia dea, quale onore!"

"Ti ho portato io fin qui, essendo che tu brami di vedere il mio discendente. Ebbene, te lo farò vedere, ma ti avverto che quello che vedrai, non ti piacerà."

"Cosa intendi?"

"Adesso vedrai. Ti dico solamente che, da quando ti ha lasciato, lui viene spesso qui: al mio tempio, a Creta, e io ancora non so perché glielo sto permettendo; lui beh... Adesso ti sarà più chiaro. Entra pure. Lui non potrà vederti, ma potrebbe sempre accorgersi della tua presenza e, a quel punto, io non potrei fare altro che riportarti indietro." Spiegò la dea e con un cenno della mano gli indicò il tempio.

Jungwon si voltò un' altra volta per guardarlo. "Quello è il tuo tempio?" Chiese, ma nessuno rispose. Si girò di nuovo e notò che se n'era andata. Allora Jungwon decise di non perdere tempo e di raggiungerlo.

Ad un certo punto iniziò a sentire lamenti, provenienti dall' interno dell' edificio.
Salì le scale quasi di corsa, percorse il pronao e successivamente entrò nella cella, illuminata dalla sola luce che entrava dalla porta e che rimbalzava sulle pareti bianche.

Il sangue si gelò nelle vene, quando i lamenti si erano fatti ancora più intensi e rimbombavano nella struttura, e il suo cuore perse qualche battito, quando riconobbe la sua voce. Provò quel dolore lancinante che non sentiva da molto tempo, che non era fisico, ma spirituale: qualcosa di straziante e che aveva provato tante volte.
Il suo amante stava in ginocchio, il suo petto era impregnato di sangue e in mano stringeva un pugnale, anch'esso imbrattato di icore d'oro. Jungwon notò pure, accanto a Jongseong, un qualcosa, che era grande come il suo pugno e che pulsava e schizzava goccioline di sangue.

Vide Jongseong portarsi una mano al petto ed emanare urla strazianti di dolore. Jungwon sentì il suo nome ovattato, nei singhiozzi e nei gemiti. Lo sentiva forte e chiaro:
Jungwon Jungwon Jungwon...

Jungwon prese a tremare. Si sentiva stordito, addolorato e arrabbiato allo stesso tempo; davanti aveva la persona che l'aveva fatto soffrire più di tutti, che aveva perso la testa per lui e che, nel dolore straziante di quel momento continuava a fare il suo nome, come se potesse alleviare le sue sofferenze. Voleva andare da lui e abbracciarlo, ma era come se il suo corpo avesse incontrato lo sguardo di Medusa. Pregò silenziosamente la dea, perché gli permettesse di fermarlo, ma come risposta la dea scosse il capo, dietro di lui e sussurrò:

"So quello che provi, ma devi attendere."

"Dea, perché mi ha portato qui?" Chiese Jungwon, con voce tremante.

"Volevo che tu sapessi che cosa è disposto a fare per te... Questo che tu vedi è quello che ha fatto per tutti questi anni. Si sente in colpa, per averti ferito, abbandonando te, per aver infranto un giuramento. "

"Sta forse cercando di convincermi a perdonarlo?"

"Esattamente."

"Io non posso essere in collera con lui; non lo sono mai stato davvero. Mia dea, è proprio vero che morirò per mano sua?"

"Non sono tenuta a rivelartelo."

"Le chiedo perdono per la domanda indiscreta allora."

In quel momento lo sguardo di Jungwon si incrociò con quello dell' amante. Entrambi rimasero a guardarsi per qualche secondo e Jongseong smise di gemere per il dolore. A Jungwon era sembrato che sorridesse, che uno spiraglio di gioia si fosse fatto largo tra tutto quel dolore. L'amante cercò di alzarsi per andare da lui, ma cadde sulle ginocchia e successivamente si accasciò a terra, contorcendosi dal dolore.

Allora Jungwon, che fino a quel momento era rimasto a guardare, per obbedienza nei confronti della dea, stanco di vederlo soffrire, scattò verso l'amante. Era scappato anche a lui un grido di dolore, che rimbombò più di tutti i singhiozzi tra le mura del tempio. Quella sensazione di impotenza lo stava divorando fin dentro alle ossa, graffiando, stridendo, masticando e distruggendo ogni fibra del suo essere.
Lo raggiunse in pochi attimi e si gettò a terra, per poterlo stringere tra le sue braccia, dopo tanto tempo. Appoggiò una mano sulla sua schiena, singhiozzando:

"Amore, sono qui, sono qui. Mi senti? Di' qualcosa."

"J-Jung...w-won" Balbettò, con un filino di voce.
"C-che ci fai qui? V-vattene. Mi hai sentito?"

All' improvviso Jungwon sentì una dolce pressione sulla spalla.
"Vieni, Jungwon."

"No!" Replicò, scansando la mano della dea.

"È un ordine. Vieni via." Tuonò lei.

Jungwon si voltò verso di lei e si mise a guardarla in modo supplichevole, con occhi imperlati di lacrime.
"Ti prego. Voglio solo..." Pianse.

"Ti ho detto di no!" Dopodiché lo tirò indietro e lo trascinò verso l'entrata del tempio. All' inizio oppose resistenza, ma poi si dovette arrendere e il suo corpo, come mosso da qualcun'altro, si mosse verso l' uscita.

Improvvisamente sentì una voce lontana, che si stava facendo sempre più distinta e chiara. Appena fu fuori dal tempio, tutto divenne nero. Si sentiva come trascinato da una corrente immaginaria, che non comprendeva e che lo stava trascinando verso qualcosa di sconosciuto, che non avrebbe mai potuto esprimere, né comprendere.

Ad un certo punto, fu destato da una voce. Il suo sonno tormentato aveva trovato fine, quando riaprì gli occhi e si rese conto di trovarsi ancora sull'aereo. Davanti a lui, una donna lo guardava preoccupata. Era una hostess.

"Signore, si sente bene?" Gli chiese.

"C-cos' è successo?" Chiese attonito Jungwon.

"Non ricorda niente? Ha iniziato a piangere e sembrava che avesse un attacco di panico."

"Mi capita spesso." Sospirò.

"Vuole che le cerchi un medico?"

"Nono sto bene. Grazie per l'interessamento."

La donna indugiò ancora con lo sguardo confusa e curiosa allo stesso tempo, poi gli indicò la cintura di sicurezza e disse:

"Stiamo per atterrare. Allacci la cintura."

Caduto dall' Olimpo~ Jaywon ✿Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora