Capitolo 63.

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Dopo quella notte Jungwon decise di riprendere in mano la sua vita. Si laureò l'anno successivo, nonostante quell' odioso professore cercasse di mettergli i bastoni tra le ruote, e trovò lavoro in un istituto superiore, come insegnante di lettere. Aveva preso pure la specializzazione in letteratura e mitologia greca. A volte ai suoi studenti faceva lezioni dedicate alla letteratura antica-occidentale, nonostante i rimproveri dei colleghi, i quali continuavano a ribadire che era tutta una perdita di tempo e che era meglio seguire il programma. E Jungwon non faceva altro che ripetere che la mitologia Greca era il grande pilastro, che sorreggeva la cultura di tutto il mondo, se non una realtà trascendentale al pensiero critico-umano. Per lui era di vitale importanza che i ragazzi conoscessero la mitologia, poiché rappresentava la realtà che li circondava. Amava il suo lavoro, malgrado tutto. Nel tempo libero o scriveva liriche talvolta prosaiche, talvolta in versi, o usciva con gli amici; si teneva sempre impegnato con qualunque cosa.

La sua vita sembrava aver stabilito una nuova normalità. Aveva imparato a stare bene da solo e si era dedicato anima e corpo alla carriera; come dicevano alcuni suoi amici, mangiava e respirava letteratura, da quando si alzava, a quando andava a dormire. Il primo a dirlo era stato Heeseung, provocando le risate di entrambi.

"È incredibile che fino a qualche anno fa non ne volevi nemmeno sentire parlare." Aveva commentato Heeseung, ridendo di gusto.

Jungwon scriveva poesie e racconti vari, come già vi avevo anticipato, ma non aveva mai il coraggio di pubblicarli; li trovava troppo personali e assolutamente non adatte a un pubblico di critici. Ne aveva fatti leggere un po' a Jaeyun e un po' a Heeseung ed entrambi gli avevano detto la stessa cosa: "bello, ma tristissimo." A Jungwon non piaceva quel "tristissimo" messo in quella frase; sembrava che fosse una cosa brutta, che una poesia fosse triste e Jungwon amava le tragedie, più delle commedie. Forse perché di tristezza ne ha provata così tanta, fino a quel momento, che aveva imparato ad amarla, ad accoglierla e a farla una parte integrante della sua vita.

Aveva quasi del tutto dimenticato cosa significava provare quel dolore, che ti rivolta lo stomaco e che lacera ogni fibra del tuo essere, fino a che un giorno, mentre leggeva ad alta voce il rigo di un romanzo- stavolta contemporaneo, cosicché si tenesse anche al programma da rispettare-, sentì una presenza fulminea, che gli rubò tutto il fiato che aveva in corpo. L'aria si era fatta densa e gli parve di sentire il battito imponente di un cuore, che non gli apparteneva... "Oppure sì? No impossibile... E se fosse?"

Per un attimo sentì il sibilare di una freccia. Era invisibile, per tutti gli altri, ma Jungwon la vide chiaramente, conficcata contro al muro; la punta lucente era a forma di cuore. Splendeva sotto ai raggi del sole e aveva tutta l'aria di essere fatta di oro rosa, il più bello e pregiato che avesse mai visto. Un' altra freccia aveva colpito due suoi alunni: la più diligente e il ragazzo esuberante, che non stava in silenzio, nemmeno quando dormiva. Entrambi non sembravano essersene accorti.

Sentì una voce e il suo cuore perse un battito. Diceva: "l'ho mancato ancora! Ma quando perfezionerò questa cazzo di mira?!"

Non si era reso conto che gli era caduto il libro dalla mano. Udiva sommesso lo sbattere e il frusciare contro l'aria di due grandi ali.

La voce di uno studente lo distrasse.

"Prof, si sente bene? Sembra che ha visto un fantasma."

Jungwon trasecolò e si affrettò a riprendere il suo libro. "C-come?" Balbettò.

"Si sente bene?"

"Sì sì... Sto bene... Mi sono appena ricordato che ho lasciato la macchina in doppia fila e potrebbero rimuoverla da un momento all'altro." Gli scappò una risatina nervosa, ma controllata. "Vi prego, non fate casino. Torno subito."

Sentiva ancora quello sbattere d'ali dal corridoio. Corse fuori, sotto al sole primaverile, percorse una parte del perimetro della scuola e lo vide, nella sua forma originale, la più pura e la più meravigliosa. Jongseong era tale e quale al suo bisnonno Eros; emanava un bagliore candido, come le piume delle sue immense ali. Talvolta quel bagliore diventava dorato e subito dopo la sua luce diventava più intensa. A parte le ali e la pelle luminosa, non era cambiato granché. Indossava una tunica dello stesso colore delle piume e dalle rifiniture rosse. Impugnava il suo preziosissimo arco, portatore sia d'amore, che di odio.

Jungwon non disse una parola. Si avvicinò lentamente, attonito e incredulo. Pensò che si trattasse di un sogno, ma il dolore che aveva iniziato a provare dopo tanti anni gli sembrava troppo reale.

Il Nuovo Eros, si voltò improvvisamente ed entrambi stabilirono un contatto visivo. Jongseong lasciò andare l'arco, esattamente come Jungwon aveva fatto col suo libro, un attimo prima. Con pochi battiti d'ali era a terra. Le ripiegò e restò immobile. Anche lui era sorpreso tanto quanto il mortale, se non di più. Non disse niente, subito; si limitava alla contemplazione, come se fosse la cosa più meravigliosa e anche la più surreale al mondo. In cuor suo non aveva passato un solo istante di quel lungo periodo, senza amarlo e senza pensare a lui. A volte, infatti, osservava da lontano le sue mosse, chiudendo gli occhi e lasciando che il suo spirito immortale lo guidasse fin da lui. A volte lo vedeva con qualcun'altro e gli si spezzava il cuore. Lo accettava, d'altronde era stato lui stesso a volerlo, tuttavia non poteva fare a meno di struggersi, per averlo perso. In quel momento lo desiderava più che mai, ma sarebbe stato egoistico chiedergli di tornare con lui, perciò pensò che sarebbe stato meglio andarsene subito, ma non lo fece, anzi, si avvicinò al ragazzo.

Sapeva che era sbagliato, ma non poteva farne a meno; le sue membra si muovevano da sole, poiché Amore, la forza che maneggiava sin dalla nascita, lo stava spingendo e non trovava il modo di opporsi.

Jungwon lo guardava avanzare, ma non faceva niente. Il suo cuore stava accelerando i battiti e percepì quell' adrenalina che non sentiva da tanto tempo, quella che gli faceva venire la pelle d'oca, che gli dava quell' inebriante senso di leggerezza e di eccitazione. Allo stesso tempo gli strozzava il respiro e gli faceva girare la testa.
Fu avvolto dalle candide ali del suo amato e in poco tempo gli era vicinissimo.

"Sei ancora più bello di quanto ricordassi." Sussurrò Jongseong, accarezzandogli la guancia, dolcemente. Col pollice gli asciugava le lacrime. Esitò per un secondo, poi si sporse lentamente, inclinando il capo e chiudendo pian piano gli occhi.

Anche Jungwon, riluttante, fece altrettanto, spinto dalla medesima forza che spingeva il divo.

Le loro labbra si sfiorarono e si allontanarono appena, si avvicinarono di nuovo e si toccarono per un piccolo istante.

"Mi manchi." Sussurrò Jungwon.

"Anche tu mi manchi, ma sai già che non possiamo stare insieme."

A Jungwon prese un groppo in gola e non rispose. Il ragazzo appena ventenne di anni prima lo avrebbe implorato di stare con lui, invece in quel momento, non seppe dire altro se non: "ora è meglio che tu vada. Anch'io devo tornare a fare lezione."

Jongseong annuì affranto. Non avrebbero dovuto incontrarsi, dopo tutto quel tempo e ora stava peggio di prima.
"Addio."

"Addio."

Successivamente il divo si staccò, recuperò l'arco e spiccò il volo. In pochi attimi Jungwon non lo vide più; la sua figura leggiadra sparì nel cielo limpido e di lui riuscì a scorgere solo il riflesso dei raggi del sole sulle sue ali, che le faceva splendere, come una stella, nel cielo diurno. Pensò che fosse un amante straordinario, malgrado tutto, e che nessuno sarebbe mai stato capace di eguagliarlo.

Si accorse di star piangendo. Quindi si asciugò le lacrime e tornò in classe.

Caduto dall' Olimpo~ Jaywon ✿Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora