The Crash

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"Alza di più quella gamba Casey, o cambia direttamente tecnica perché con un'esecuzione così non vai da nessuna parte!!" Urlò l'allenatore, scuotendo la testa, mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo, per poi testardamente continuare l'esercizio.

Fin da quando ricordava, il judo aveva sempre fatto parte della vita di Casey, che aveva dimostrato talento fin dai primi anni, fino ad arrivare a quel punto, al tanto sudato posto in squadra nazionale. Non era più il momento di eseguire tecniche tanto per fare, la perfezione era il prerequisito alla vittoria nelle gare; la sua gamba però, proprio non ne voleva sapere di stare più in alto, per quanto quella tecnica fosse tra le sue preferite.

Casey aveva 24 anni, e dopo il liceo aveva scelto di terminare la sua carriera scolastica per concentrarsi soltanto sul suo sport preferito. Si allenava quindi due volte al giorno in una palestra nella periferia di Londra, occupando con varie gare anche i weekend. Non le pesava quel ritmo, anche se a volte riconosceva, osservando le altre ragazze della sua età, che il suo concetto di divertimento era piuttosto discutibile. Perché lei si divertiva, durante gli allenamenti, le piaceva stare con i suoi compagni di squadra, ridere, scherzare, ma le piaceva anche sentire il suo corpo lavorare, vedere fino a dove poteva arrivare con gli sforzi e l'impegno. Non andava pazza per i piccoli dolori che ogni tanto era logico arrivassero, né per il sudore, ma quando aveva comprato il suo primo judoji sapeva che significava scegliere di acquistare tutto il pacchetto, lati positivi e negativi.

Come quel momento. Non era la prima volta che l'allenatore le faceva un'osservazione del genere, ma Casey era testarda, e non avrebbe rinunciato così facilmente, odiava perdere contro se stessa e soprattutto ammettere la sconfitta. Se si fosse arresa tutte le volte in cui si era sentita vicina alla fine, non sarebbe sicuramente arrivata dove si trovava in quel momento. Perciò, ripeté la tecnica, questa volta facendo più attenzione al movimento della sua gamba e proiettando con successo la compagna di allenamento.

"Non era perfetta, ma vedi che se ti impegni sul serio ce la fai?" La riprese ancora l'allenatore.

"Ovviamente, non era perfetta" Borbottò, sbuffando, per poi tendere la mano alla ragazza a terra ed aiutarla ad alzarsi.

"Abbiamo appena salvato la vita di un altro paziente, complimenti dottoressa" Scherzò l'assistente della dottoressa Olivia Blake, mentre bevevano un caffè; Liv scosse la testa ridendo, poi finì ciò che era rimasto nella sua tazza.

"Era soltanto un piccolo linfonodo da rimuovere, non credo fosse in pericolo di vita. Ma grazie, è sempre un piacere ricevere i complimenti da te – Rispose con un occhiolino, poi lavò la sua tazza e la ripose nell'armadietto – Faccio il giro dei pazienti, poi stacco. Ci vediamo domani mattina?"

"Sicuro, abbiamo l'intervento della bimba del letto 5c. Buona serata dottoressa"

Era stanca, Liv. E il giro dei pazienti non era obbligatorio per lei, dato che era un chirurgo. Ma nonostante questo, lo faceva ogni volta prima di finire il suo turno. Le piaceva il suo lavoro, anche se a volte la rendeva estremamente vulnerabile; essendo parte dell'equipe chirurgica della pediatria dell'ospedale più grande di Londra, era sempre a contatto con i bambini, e stava bene, sapendo che faceva di tutto per rendere le piccole vite dei suoi pazienti migliori; ma il dolore sui loro volti, e su quelli dei genitori, la sfiniva puntualmente più di tutte le ore di lavoro che faceva.

Quella sera i bambini ricoverati non erano molti, si sarebbe sbrigata in appena una ventina di minuti, sarebbe passata in ogni stanza, avrebbe controllato le cartelle cliniche e scambiato due parole con i genitori o chiunque stesse con i bambini, poi avrebbe dato la buonanotte ai piccoli pazienti, che ricambiavano sempre con tanto entusiasmo da farla sorridere.

The Cure - Harry Styles & Louis TomlinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora