Capitolo 37

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Cameron's pov
Tutto intorno a me sembra aver perso colore. Non riesco a muovermi, sento i piedi di cemento e il mio petto sembra voler esplodere dal dolore, un vuoto incolmabile si fa spazio nel mio stomaco.

Tutta la mensa bisbiglia, persino le stupide oche vestite di rosa sembrano dispiaciute. Tutti ci vedevano come la coppia perfetta, e lo eravamo, o meglio: lei era perfetta. Lo è ancora. Non siamo mai stati una coppia facile, tutto per i miei errori. L'ho sempre delusa, fin dal primo giorno, ho scommesso su di lei, l'ho vista piangere, crollare, rialzarsi e crollare di nuovo. Per colpa mia.

I miei piedi sembrano aver deciso di ritornare a funzionare e lentamente mi trascino fuori da quella sala diventata insolitamente stretta e soffocante.

Esco dal cancello e dietro di me sento altri passi, passi che conosco perché ho imparato a riconoscerne il rumore, sono i passi dei miei fratelli, coloro che non mi abbandoneranno mai.

E senza volerlo davvero, inizio a spiegare loro il motivo di quel bacio, perché riuscivo a sentire perfettamente le loro menti domandarselo, potevo sentirle urlare in preda alla curiosità.

«Era una sera tranquilla, eravamo a casa sua, Madison non c'era perché era venuta da te Nash, ma non era programmato che andassi da lei, non lo era. Quando entrai in casa non ebbi bisogno di cercarla, sapevo già dov'era. Alcune volte io mi ritrovavo a casa sua senza motivo, perché mi mancava, e lei era sempre in quella fottuta vasca da bagno ricoperta di schiuma, e non si rendeva conto di quanto era bella, di quanto il suo profumo fosse intenso e di quanto io la amavo, di quanto la amo ancora. Ero entrato nel bagno pieno di umidità e lei era lì, immersa fino al collo con gli occhi chiusi, rilassata. 'Sapevo che saresti venuto' mi aveva detto aprendo gli occhi e regalandomi uno di quei sorrisi che solo lei sapeva fare, e io lì provai una sensazione di calore al basso ventre, ma non una sensazione di eccitazione, era una sensazione di tepore che infondeva una tranquillità mai provata. Lì avevo capito che lei era la mia tranquillità, la mia casa, che ovunque sarei andato con lei non avrebbe avuto importanza perché lei era il mio posto preferito.
Mi ero seduto vicino al fianco della vasca, per terra, con la schiena rivolta verso il bordo, ci guardavamo dallo specchio lì di fronte. Era bella, troppo bella, ma non parlo della bellezza delle forme, non della bellezza sensuale, ma della bellezza dei piccoli aspetti di lei. I suoi occhi erano profondi come il mare, e pensai che se un giorno dovessi morire l'avrei fatto volentieri affogando in essi. E le sue guance, arrossate dal caldo erano così rosse che mi ricordai della prima volta che la baciai e si imbarazzò, perché avevano più o meno lo stesso colore. Erano belle le sue mani, con le dita sottili e affusolate, con le unghie smaltate di un azzurro bluastro simile alle sue iridi.
Inizió ad accarezzarmi i capelli e mi lasciai coccolare, mi sembrava di fare le fusa come uno stupido gatto ma a lei però sembrava piacere, sapeva benissimo che i capelli sono il mio punto debole e si divertiva a vedere come reagivo ogni volta che lei si metteva a giocarci. Questa era la bellezza di lei, l'audacia e la timidezza, la simpatia e l'acidità, l'umorismo e il voler sempre sfidarmi come se fosse una gara a chi si perde nell'altro per primo.
Iniziammo a parlare mentre avevo preso a lasciarle piccoli baci sull'altra mano, e le avevo detto che se un giorno avesse deciso di dirmi addio doveva baciarmi prima di andarsene, doveva farlo per l'ultima volta, in modo che mi imprimessi nella mente ogni dettaglio e movimento» dico e non mi accorgo nemmeno di star singhiozzando finchè tantissime braccia mi stringono e mi sorreggono dandomi l'affetto di cui ho tanto bisogno, perché la felicità che avevo, che mi ero costruito nel tempo se n'era andata lacerandomi il petto a causa del mio imperdonabile errore..

Piansi tutta notte tra le braccia di Nash e Aaron che cercavano di consolarmi, come si fa con un bambino. Ed era così che mi sentivo, un bambino.

Gli occhi mi bruciavano terribilmente, le labbra si erano gonfiate e ogni tanto sanguinavano a causa dei morsi che infliggevo loro per trattenere i singhiozzi. Tutti gli altri erano nella nostra stessa stanza, svegli, ad assistere all'agonia e a farsi mangiare dai rimorsi, facendosi corrodere dalla paura, perché loro se ne erano andate.

Avevano lasciato un post-it azzurro attaccato alla porta.
"Non cercateci".


-spazio autrice-
So che è corto, ma sentivo il bisogno di pubblicare questo capitolo, per farvi capire come Cameron l'amasse e la ami ancora, inoltre per farvi capire come stesse vivendo questa cosa. Spero di avervi fatto provare le sue emozioni. Non so da dove siano uscite più di ottocento parole in venti minuti, ma sembrava che le mie dita sapessero perfettamente cosa scrivere. Preparatevi alla prossima batosta.
Baci, vi amo.

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