Capitolo 40

828 28 9
                                    

Cameron's pov
Mi sono sempre chiesto, fin da bambino, se un giorno avrei trovato una donna tutta per me, da amare e stringere forte la notte, anche d'estate con il rischio di svegliarsi in un bagno di sudore ma con un sorriso spettacolare sul volto.

E si, quella donna l'ho trovata, ma non mi sarei mai immaginato che sarei riuscito a farla scappare da me.

Perché si, lei ha scelto di andarsene dall'altra parte dell'America per sfuggire dal dolore che le ho provocato.

Tutti i pensieri che erano stati soffocati dal pianto, si stavano riversando nella mia testa in questo momento. Ho mille domande, ma di nessuna la risposta.

Ha avuto altri attacchi di panico durante la notte?
Questa domanda mi fa agitare, perché nonostante io sia una buona parte della causa di essi io avrei voluto essere lì, ad abbracciarla, a stingerla a me, a sussurrarle tanti 'ti amo', a dirle che è bella perfino quando non sta bene, a ricordarle che finchè ci sono io nessuno puó farle del male, ma purtroppo sono stato proprio io a fargliene per primo.

Riuscirà mai più a guardarmi negli occhi?
Ho paura della risposta. Io senza i suoi occhi non vivo. I suoi occhi sono qualcosa di spettacolare, ho imparato a conoscere tutte le sfumature, tutti i particolari. Quando è felice, diventano chiari, simili ad un verde acqua, pieno di pagliuzze azzurre. Quando è triste, diventano blu, come il mare profondo. Quando è arrabbiata, diventano quasi grigi, con tante pagliuzze azzurro chiaro, così belli da farti mancare il fiato, anche se ha il viso contratto e irrigidito.
Quando mi guardava invece, gli occhi le diventavano azzurri, come il mare calmo, il mare che vedi al tramonto o all'alba. Ed io, in quelle acque così dolci mi ero perso, completamente. Naufragavo in esse crogiolandomi nel suo amore, nutrendomi dei suoi baci, dissetandomi delle sue carezze. In quell'azzurro poi, ci vedevo sempre una scintilla, che li faceva luccicare, come il mare quando viene illuminato dai raggi di sole.

L'ultima volta che ho visto i suoi occhi, erano blu. Ma non il blu simile al mare profondo, quel blu talmente scuro da sembrare nero, quel blu in cui la vedevo lentamente annegare, per colpa mia. E adesso capisco, che in quel blu, io ci sono affondato, insieme a lei, e sono stato inghiottito da un turbine di dolore dal quale non riesco ad uscire.

La mia paura più grande, è che lei provi apatia. Voglio che mi detesti, che mi odi, che me lo urli in faccia, che lo scriva sui muri, che lo dica alla gente. Voglio che mi odi perché l'odio è un sentimento, vuol dire che le importa di me, che mi pensa.
Ma se mi guardasse con apatia, priva di sentimenti, significherebbe che l'ho prosciugata, prosciugata dalle emozioni, dai sentimenti, e non me lo perdonerei.

Prendo lo zaino che avevo appoggiato per terra e mi immetto nel corridoio che porta all'uscita, prendiamo la corriera e ben presto ci troviamo davanti al grande aereo. Salgo la scaletta e guardo il biglietto per cercare il mio posto: 125B. Lo trovo e faccio segno a Nash, che ha il 126B, di sedersi di fianco a me.
L'aereo dopo una quindicina di minuti decolla, pronto ad attraversare tutta l'America. I posti davanti a noi sono occupati da Matthew e Taylor, che stanno discutendo su chi all'arrivo deve mangiare il panino con la maionese, rido piano e scompiglio i capelli a tutti e due, che mi fulminano com lo sguardo facendomi ridere ancora di più. Sono questi i momenti che mi mancavano, proprio loro due, in questi giorni non avevano voglia di mangiare, ed è stato così brutto perché tutti, fin da piccoli, eravamo abituati a vederli inghiottire tutto e di più, e non hanno mai perso l'appetito, mai a parte dopo tutto il casino che è successo. Da ieri sera, dopo la chiamata con Sammy all'una di notte, hanno ripreso a mangiare e non capivamo perchè, ma poi, mentre mangiavano dei panini e piangevano forse di sollievo, ci hanno spiegato tutto e precisamente 20 minuti dopo avevamo 9 biglietti per Los Angeles.

Trust meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora