La lama fredda di Jelial mi incide la pelle. La magia Celestiale mi brucia la carne. Quella è un'arma fatta per uccidere Infernali. Sento il sangue caldo scorrere e macchiare la maglietta. La luce del tramonto entra nella stanza colorando tutto di rosso. Sembra arrivata apposta.
Ho dato i miei poteri sempre per scontati. Ne sono stato così felice da mostrare il marchio infernale sul collo come un simbolo di potere. Qualcosa di cui essere orgoglioso. Con loro ho fatto cose di cui mi pento e cose di cui sono orgoglioso. Mi sono vergognato di loro solo per quei due umani uccisi nel palazzo Feather. La verità è che sono sempre stati miei strumenti. Parte di me. E quando ho pensato di abbandonarli per diventare Umano ho sentito un gran dolore. Adesso sono il mio unico pensiero. Con loro potrei salvarmi. Potrei combattere questo stronzo sadico e andare da Jonathan. Si sta divertendo nel vedermi soffrire. Incidere la carne un millimetro alla volta. Penetrare dentro di me lentamente. Odio essere così inerme e indifeso.
«Adesso muori, Infernale». Jelial spinge la lama. Ci appoggia il peso di tutto il corpo. Vuole decapitarmi.
Lancia un urlo di dolore. La mano si apre e il pugnale cade a terra. Per la seconda volta vengo salvato da Alexander. È in piedi, le mani sollevate. Jelial si contorce, preda di un dolore che sembra attraversargli tutto il corpo. Lo Stregone sposta una mano su di me. Anche lui vuole uccidermi? Sento una debole energia fluirmi dentro. Un leggero sollievo. La testa si schiarisce, accolgo con gioia un po' di forza che credevo perduta per sempre.
«Non posso darti di più. Adesso vai, Ryan. Raggiungi Jonathan. Potrebbero essere arrivati a lui». Mi guardo intorno. Tutte le erbe, i liquidi e le poche fiale intorno non mi dicono nulla. Niente assomiglia alla fiala che Jelial ha distrutto. Non posso più diventare umano? Sono sollevato. Mi sento stupido a chiedere. Dopo tutto quello che sta facendo. «Non c'è più elisir».
«Posso prepararne ancora, ma tu devi raggiungere Jonathan. Scappate. Io vi troverò. Ci organizzeremo di nuovo».
«Tu stai bene?».
«Non ti preoccupare! Vai!».
Supero Alexander dandogli un ultimo sguardo. Vorrei ringraziarlo in qualche modo. Quando tutto questo sarà finito troverò il modo di farlo.
Arrivo in strada e cerco di orientarmi. Il ponte di Brooklyn non è lontano. Credo di essere proprio a Brooklyn. Riesco a vedere le torri illuminate. Jonathan è lì sopra. Mi sta aspettando. Ma è troppo lontano. Ci vorrà più di mezz'ora a piedi e sono già esausto. Le ferite non si sono richiuse, sento il sangue scorrere sulla schiena. Un taxi! Allungo il braccio per fermarlo. Rallenta e accosta. Con pochi passi lo raggiungo. L'autista, un ragazzo indiano di poco più di vent'anni. La portiera è chiusa a chiave. Mi guarda e mi vedo attraverso i suoi occhi spaventati: coperto di sangue, sudato e con i vestiti lacerati. Il ragazzo spinge sull'acceleratore e sgomma via. Non ce la faccio nemmeno a biasimarlo. Io avrei fatto lo stesso. Farò come facevo anni fa con gli Hellraiser. Speriamo vada bene come allora.
Mi accuccio dietro un grosso cassone dell'immondizia accanto a un semaforo e aspetto. Passa un minuto. Due. Si fermano delle macchine. Tutte affollate di gente. Poi ripartono al verde e io sto rodendo d'ansia. Passa un altro minuto. Un altro ancora. Una moto! Un solo guidatore. Nessun'altro fermo vicino. Cammino alle spalle del motociclista e con una spintonata butto a terra la ragazza che è al volante.
«Mi dispiace ma non ho alternative». Senza aspettare che quella capisca cosa le è successo rialzo la moto da terra, girò l'acceleratore, salto in sella e schizzo via.
«Te la lascio sul ponte di Brooklyn!». Non ci metterà molto ad arrivare a riprendersela. Raggiungo il ponte che il sole ormai è del tutto tramontato. Il vento freddo della notte sferza la strada portando l'odore del mare. New York non sa mai di mare. Questa è una notte speciale. La fortuna, alla fine, è dalla mia.
Arrampicarsi sulla torre stavolta non è così facile. Senza i poteri, stanco e infreddolito. Non finisce più. Mi fermo spesso. È una tortura. Se Alexander non mi avesse aiutato non ce la farei. Salire fino in cima. Ce la posso fare. L'ho fatto già. Un passo alla volta. Fino alla cima. Fiato corto, le mani graffiate e mezzo congelato. Tocco la cima. Non c'è nessuno. Il vento soffia sulla torre indisturbato. Non c'è. L'hanno portato via! Sono arrivato tardi!
Non lo raggiungerò più. Se l'hanno preso gli Eterni o i Feather è finita. Io verrò rintracciato con il Faro e tutto finirà così. Gli Eterni mi rinchiuderanno di nuovo in gabbia, o peggio mi uccideranno per insubordinazione. È finita così. Non c'è niente da fare. La luna sale dal mare. E le luci del tramonto sono ormai del tutto spente.
Quell'ombra scura. Quello è un corpo. È Jonathan! È qui! Allora ce l'ha fatta. Ma perché è a terra? La luce bianca della luna illumina quel corpo. È morto?
Mi avvicino. Non voglio vedere il suo corpo morto. Le mie gambe avanzano lo stesso. Non voglio vedere il cadavere di Jonathan. Non ce la faccio. Arrivo a lui. La sua faccia è pallida. Esangue.
Tutta la stanchezza, tutto il dolore, la paura. Tutto mi crolla addosso. Sono a terra sulle ginocchia. «Perché Jonathan? Stavo arrivando... Chi ti ha fatto questo?».
Qualcuno deve averlo attaccato. Mi guardo intorno, ma non ci sono i segni di una lotta. Solo una fiala vuota. In frantumi ai suoi piedi. Una fiala identica a quella che Alexander aveva preparato per me.
«Alexander ci ha ingannato fin dall'inizio. Lui ha sempre voluto ucciderci». Un gioco. Tutto questo è stato un gioco. La fuga, il combattimento. Jelial. Il salvataggio all'ultimo momento. Tutto un terribile gioco per farsi beffe di noi. Io lo ucciderò. Io ucciderò Alexander e ucciderò gli Eterni. Non ce la faccio. Sono spezzato. Avete vinto, siete contenti?
«Avete vinto!». Troppo male. Troppo stanco. Abbraccio il corpo gelato di Jonathan e lo cullo. Non riesco a piangere, sono troppo stanco. Bacio una bocca fredda e sento scendere qualche lacrima che gli bagna le guance. Lo tengo abbracciato.
Mi sono addormentato? O forse ho chiuso gli occhi per un attimo. Non lo so. Le mie ultime forze se ne stanno andando. Basta. Tutto questo è troppo. Non ho più poteri, non ho alcuna risorsa. Alexander, i Feather, gli Eterni. Sono troppi. Non ho più nulla con cui combattere. Nessun motivo per andare avanti.
Morire. È l'ultima scelta che mi rimane. Forse quello che vogliono loro. Ma rimane una mia scelta adesso. Posso lanciarmi nel vuoto e morire così. Mi lancerò nel vuoto. Poi rivedrò Jonathan.
No. Non è vero. Io finirò all'Inferno, Jonathan in Paradiso. Non c'è più tempo per noi. Non c'è mai stato tempo per noi. Non può succedere. Anche le leggi divine sono contro di noi. Non ci ritroveremo mai.
Qualcosa di metallico riflette la luce della luna. Un pugnale Celestiale. La lama nella cinta di Jonathan. Non avevo mai visto la lama Celestiale di Jonathan. Morire con la sua arma. Questo è accettabile. La afferro e la sfilo dalla cinta. Una lunga lama d'argento. Forgiata con il sangue del suo possessore per uccidere quelli come me. Morirò trafitto dall'arma di Jonathan.
La osservo. La fine del mondo sulla sua punta.
**vuoi leggere tutta la storia d'un fiato?**
acquista la tua copia ebook www.amazon.it/dp/B00Q37ZP8Q
o il cartaceo www.valeriolamartire.com/shop/
www.valeriolamartire.com
STAI LEGGENDO
Nephilim. Guerra in Purgatorio
FantasyNon puoi scegliere di nascere Celestiale. Puoi solo scegliere dove volare. La tregua era stata stipulata. Dopo quattromila anni i Nephilim Celestiali e i Nephilim Infernali avevano deposto le armi spartendosi le Americhe. Ma la pace era stata con...