"Avere l'impressione di restare sempre al punto di partenza."
Il dolore aveva creato un fracasso incredibile nella mia testa, per poi lasciare un umido silenzio tutto d'un colpo. Ciò mi permetteva solo di sentire ogni sensazione in modo amplificato.
Dovevo essere incosciente da un bel po'. Non sentivo nulla. Avrei potuto essere in camera mia come ancora nel bel mezzo di quel marciapiede. Mi sembrava solo di girare, senza una fine.
Un giro, due giri, tre giri, mi girava la testa. Tentavo di contare i miei respiri per calmarmi.
Uno, due, tre.
Benjamin e il suo amico sono scappati, vero? Sono scappati e mi hanno lasciato qui, mezza morta, su questo marciapiede, da sola.
Quattro, cinque, sei.
Mi sveglierò? Cosa racconterò a chi mi troverà?
Sette, otto, nove.
Potrei essere morta. Voglio restare così. Non ho mai trovato questa pace.
Dieci, undici, dodici.
Nessuna risata maligna, nessun commento che farebbe ridere tutti ma male a me, nessuno pronto a sminuirmi, picchiarmi, prendermi in giro.
Tredici, quattordici, quindici.
No. Non voglio svegliarmi. Mai più.
Se la morte è il prezzo per avere un po' di pace, sono disposta a pagarlo.Ma non continuai per molto a non sentire nulla. Qualcosa di liscio e caldo strisciò lentamente al posto dell'oblio. Riconobbi delle lenzuola che coprivano i leggeri solchi del materasso. Il mio respiro comincia rafforzarsi, tanto che potevo sentire il suo suono e l'alzarsi e l'abbassarsi del mio petto. Ma non volevo sentirlo. Non volevo sentire nulla, sapere che avrei riposato per sempre in una bara all'interno di un cimitero, accanto a mia nonna, magari. Non sarei riuscita a reggere nemmeno un giorno in più dell'inferno che da anni ero costretta a sopportare.
Avevo fallito. Sin dall'inizio.
Chissà come, ero fuggita dal posto in cui dovevo rimanere per l'eternità. Ero scivolata nelle vesti di qualcun altro. Quella vita non era fatta per me. O forse ero io che non ero fatta per la vita.
Qualcos'altro si posò delicatamente sulla mia mano, in un contatto che sembrò volermi bruciare. Non volevo che nessuno mi toccasse. Infatti era una mano quella che teneva la mia. Era calda, le punte delle dita erano dure, più grande della mia, tanto che me la copriva per intero. A tratti, era rassicurante. Ma volevo sempre il nulla attorno a me. Ormai era troppo tardi.
Come se non aspettassero altro, a quel contatto i miei occhi si spalancarono.
Rimasi immobile, fissando il soffitto della mia camera.
Sbattei gli occhi alcune volte, fino a che riuscii ad assimilare tutti gli oggetti davanti al mio letto.
I libri disordinati sopra la mensola, quelli sulla scrivania, il quadro di Van Gogh, Notte stellata, la foto della Tour Eiffel. Tutto riacquistò un'immagine vivida e un colore normale.
Ma io continuavo a non voler essere lì.
Prima portai bruscamente il viso sulle mie braccia. Indossavo ancora la felpa.
E poi mi voltai a destra. Niente.
Provai a sinistra. Troppo. Fossi stata in piedi, le ginocchia avrebbero ceduto di nuovo.
-Sparisci da qui.- Sussurrai a denti stretti.
-So che non abbiamo il rapporto migliore del mondo, ma non occorre fare così.-
Stava dicendo sul serio?
-Vuoi dell'acqua?-
Non avrei mai accettato niente da lui.
-Angioletto, puoi anche rispondere.-
La gola mi stava andando a fuoco, ma la rabbia era un fuoco ben più letale nel resto del mio corpo.
-Hai perso anche l'uso della parola, ora?-
Non devi accettare il suo aiuto.
-De Angelis, rispondimi, dannazione.-
La gola riarsa ebbe la meglio. -Sì.- Sibilai con voce tagliente.
Sussultò. -Monosillabica.- Borbottò, mentre si alzava per riempire un bicchiere d'acqua.
Me lo porse, e quando le nostre mani si sfiorarono la mia pelle si riempii di brividi. Mi tirai velocemente in giù la manica della felpa che si era leggermente spostata.
Lui mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma rimase in silenzio. Meglio per lui. Spero non si sentisse in diritto nemmeno di fare domande.
-Che cos'è successo?- Trovai il coraggio di chiedere.
Lui sospirò, e per la prima volta lo vidi posare la testa sui palmi delle mani, come se non ne potesse più.
-Sei svenuta. Fuori da scuola. Ti... Ti ho portata qui, ecco. E poi ho incontrato tua madre che... Sì, mi ha detto di rimanere fino a quando non ti saresti svegliata, quindi... Ecco, ora sei chiaramente sveglia e...- Fece per alzarsi, e, quindi, andarsene.
Deglutii. Possibile che non si rendesse conto che ciò che era successo era solo colpa sua?
-Sei sempre il solito.- Mi lasciai sfuggire.
Lui mi fissò, per un attimo.
E avrei pagato per vedere che cosa fosse successo all'interno di quella testa, poi. Perché non se ne andò.
Si risiedette.
E ricominciò a parlare, senza nemmeno che io glielo chiedessi.
-Sei caduta e svenuta. Ti ho caricata in macchina e ti ho portata a casa tua...-
-Come facevi a sapere dov'era casa mia?-
Esitò. -Ti ho visto ancora andare a casa... Le rare volte che anch'io vado a casa a piedi.-
Alzai le spalle. Probabilmente non era la verità, ma non m'importava. Volevo che se ne andasse. Ogni singola parte del mio corpo gridava che avrebbe dovuto andarsene. Ma non riuscivo a dirlo.
Sentii mormorare qualcosa.
-Cosa?-
Lui ripeté, ma non capii lo stesso.
-Parla come un essere umano normale, Mascolo!-
-Credo sia stata colpa mia, okay? Ti basta?!-
Mi bloccai.
Per la prima volta, vidi quegli occhi spogli di ogni maschera. Erano occhi fragili, che chiedevano qualcosa che le maschere avrebbero negato sempre. Probabilmente un abbraccio, o anche solo un po' di felicità.
-Ma ora devo andare. Tua mamma mi ha chiesto di restare... Io... Insomma, mi dispiace, ma...- Prese un respiro profondo. -Scusa. Okay? Scusa. Ci si vede.-
E uscii dalla porta lasciandomi sola. O non proprio. Con me c'era giusto il milione delle domande a cui non trovavo risposta.
Qualcuno, poco dopo, fece capolino da dietro la porta.
-Tesoro, stai bene? Mi hai fatto talmente preoccupare, Bea. Che è successo?- Riconobbi mia madre e con i suoi tratti dolci e i suoi occhi castani correre verso il mio letto.
Mi accigliai. -Benjamin non te l'ha spiegato?-
-Benjamin? Che caro. Ha voluto rimanere a tutti i costi, non mi ha lasciato scelta. Ma voglio sapere se tu stai bene. Se sai cos'è successo.-
Sbarrai gli occhi, ignorando di nuovo le sue domande. -Mi ha detto che sei stata tu a dirgli di restare almeno fino a che non mi fossi svegliata.-
Mia madre mi guardò per un attimo, chiedendosi probabilmente se nella caduta non avessi contratto qualche danno al cervello. -Io non gli ho detto niente, Bea. È lui che ha voluto rimanere.-
-Ma non ha senso, mamma...- Mormorai, in preda alla confusione. Benjamin mi odiava, mi odiava come non aveva mai odiato nessun altro.
Perché era restato con me? Perché si era preoccupato di portarmi e casa e restare fino al mio risveglio?[Frase a inizio capitolo: da "Sono solo parole", Noemi.]
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...