32.

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"Anche se ho le ali sporche di sangue
un giorno volerò da te.
E questo sangue mi ha reso grande,
per questo volerò
da te."

Con una strana agitazione che non lasciava la presa sul mio stomaco, scesi le scale il più velocemente e silenziosamente possibile, per poi girare piano la chiave nella serratura della porta d'ingresso.
Sentivo lo sfarfallio del mio cuore rimbombarmi per tutto il corpo.
Chissà come, si placò quando aprii la porta e vidi Benjamin.
Sorrideva.
Erano le quattro di mattina, a quattro ore dall'alba, c'era un freddo che si gelava, lui era davanti alla mia porta, mi aveva chiesto di andarsene insieme, e sorrideva.
-Prendo due cose... Aspettami qui.- Dissi a bassa voce. 
Non smise di sorridere. Mi ricordava un bambino che non conosce conseguenze.
-Sei sicura?- Chiese all'improvviso, un secondo prima che tornassi di sopra.
Pensai a tutto quello che mi aveva fatto passare.
Mi aveva fatto quasi morire, e ora mi stava regalando la possibilità di vivere. Di farlo davvero.
E in quel preciso istante non m'importò di tutto quello che mi aveva detto Filippo. I suoi occhi erano davanti a me, e non mentivano.
-Sì-, mormorai. E guardai ancora un po' il suo sorriso appannato dal buio prima di andarmene.
Corsi in camera e svuotai lo zaino di scuola sul letto, perché le coperte smorzassero il rumore dei libri che vi cadevano sopra. Mi tolsi il pigiama e infilai un paio di jeans, una maglietta, una felpa e una giacca di pelle che in prima liceo avevo comprato e non avevo mai messo. Non mi era mai importato granché di come mi vestivo. Mi bastava che gli indumenti mi coprissero le braccia. Ma avevo capito che avremmo utilizzato la moto per muoverci, per cui jeans e giacca mi sembrarono il minimo.
Ficcai un altro paio di jeans e uno di pantaloni in tuta nello zaino, una T-shirt pulita e tornai di sotto in cucina.
Presi qualcosa da mangiare dalla dispensa e da una mensola afferrai alcune banconote dalla scatola che mia madre aveva denominato "delle emergenze".
Presi un foglio di carta e una penna lì vicino, li posai sul tavolo. Prima di scrivere, presi un grosso respiro.

"Mamma e papà,
sì, sto andando via.
Non per molto, e non preoccupatevi del dove. Sono con una persona della quale, a dispetto di tutto ciò che è successo, credo di fidarmi.
Ho pensato fosse arrivato il momento di scegliere, e non di restare a subire quello che gli altri scelgono per me.
È la mia vita. Voglio viverla.
Vi chiedo scusa per aver combinato così tanti guai prima di capirlo.
Vi voglio bene.
B."

Accanto a me avvertii il respiro che avevo imparato a conoscere quasi meglio del mio. La sua mano scivolò accanto alla mia, sfiorandomi soltanto, e lesse il biglietto.
-Non preoccuparti,- sussurrò. Mi voltai e trovai i suoi occhi azzurri ma assurdamente scuri a pochi centimetri dai miei. -Ti capiranno. Sanno quanto questo posto ti risulti soffocante.- Disse posando il foglio sul tavolo.
Presi lo zaino e mi diressi verso la porta. -Se davvero lo sapessero mi avrebbero fatto partire subito per l'America.- Dissi, assorta.
-Vogliono essere sicuri che sopravviverai da sola. 
E che sarai felice.-
-Ho passato periodi talmente dolorosi da vomitare da sola, credo ormai di poter sopportare tutto.-
Con un passo mi superò e posò una mano sul polso per bloccarmi, senza stringermelo.
-Ti ho vista crollare, letteralmente e a causa mia. Ogni volta che ti guardo ho paura che le tue gambe fragili cedano. È una paura di cui non mi libererò mai. Per quanto sappia quanto sei forte, avrò sempre paura che tu cada perché ti ho visto farlo a causa mia. E ora pensa ai tuoi genitori, che ti conoscono da quando sei nata. Pensa alla paura che possono provare loro per te.-
Mi zittii, senza dire che sì, aveva ragione.
Uscimmo di casa, chiusi la porta e misi la chiave in tasca.
Come pensavo, la moto ci aspettava a pochi passi da casa mia.
-Non te l'ho detto prima, ma sei carina vestita così.- Disse con un sorriso timido, poco lontano dalla moto.
Arrossii ancora prima che finisse la frase. -Grazie anche... Anche tu...- Dissi sottovoce. Ma lui era bello sempre, pensai.
Sorrise mostrando una fossetta che no  avevo mai notato sulla guancia sinistra. -Grazie. Allora, siamo pronti?-
-Sei tu che devi guidare.- Gli ricordai sorridendo. Rise.
-Quindi mi dai carta bianca?-
-Diciamo di sì.-
Fece una smorfia maligna che mi fece scoppiare a ridere.
-Non pensare di abbandonarmi fa qualche parte.-
Sbuffò. -Ma era quello il mio piano.-
-Idiota.-
-Un idiota che ti sta portando via, però.- Ammiccò.
-Un idiota buono, in fondo.-
-Allora qualcosa la so fare.- Ridacchiò. Mentre prendeva il casco per me, mi persi a guardarlo, e pensai che in effetti sapeva rendermi felice.

[Frase a inizio capitolo: da "Ali sporche", Coez.]

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MA RAGA
È DANNATAMENTE NORMALE CHE ABBIA PIÙ COSE DA STUDIARE CHE ANNI DA VIVERE?
IO BOH

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