9.

12K 440 39
                                    

"Take a look to what you've done
cause baby now we've got bad blood."

Lui era in imbarazzo, e non parlava in modo sicuro come quando mi bloccava spalle al muro, a scuola.
Perché a nascondersi dietro alla violenza sono capaci tutti.
Lo stavo seguendo a debita distanza verso la cucina, quando lui si girò di scatto verso di me, forse per dirmi qualcosa. Sussultai facendo troppo velocemente qualche passo indietro, e andai a sbattere contro ad una mensola, facendo cadere dei libri che vi erano posati sopra.
Il dolore sulla spalla si fece atroce tutto d'un tratto.
Il taglio. Si era riaperto.
-Scusami...- Sussurrai, sforzandomi di non piangere, un po' per tutto. Perché mi faceva paura essere lì, perché ero un disastro, ma soprattutto per il dolore che il taglio che si era riaperto mi provocava.
-Non preoccuparti... Faccio io.- Disse Benjamin, come sapesse che era colpa sua.
-Posso andare... In bagno?-
-Ehm... Certo... È al secondo piano, seconda porta a destra. Vuoi... Che ti accompagni?-
-No, grazie. Ce la faccio benissimo da sola.-
Lui tentò un sorriso, ma mi convinsi che non ne era capace.
Non con me.
Trovai il bagno, e mi ci chiusi dentro.
Velocemente mi tolsi la felpa rimanendo in reggiseno e mi girai di spalle allo specchio, voltando poi la testa indietro. Grosse gocce di sangue scuro affiorivano dal taglio profondo e scivolavano facendo formicolare la pelle giù per la schiena, senza lasciare che la fascia del reggiseno fermasse il suo corso.
Strinsi gli occhi e la pelle attorno alla ferita per tentare di lenire il dolore. Non servì a niente.
Mi accorsi di essermi sporcata le dita di sangue.
Come facevo ora? Dovevo trovare un cerotto. Qualcosa con cui asciugare tutto quel sangue, anche se il flusso non si fermava.
Ma non servì nemmeno questo.
-Bea smettila.- Benjamin mi prese il polso, senza preoccuparsi del sangue che poteva sporcarlo. -Faccio io.- Disse per la seconda volta.
Non disse nient'altro riguardo alle botte che gli avevo rivelato il giorno prima. Stavano lì come a fare da guardia alla mia pelle, tentando di convincerlo di avermi fatto abbastanza male da non avvicinarmi.
Mi spinse leggermente fino a quando la mia schiena non toccai bordo del lavandino, evitando di toccare i punti lividi delle braccia. Allora prese una pezza da sotto il lavandino, la bagnò con l'acqua e me la passò delicatamente sul taglio, e poi sulla schiena, per asciugare il sangue che mi colava ancora giù per la schiena.
Posò il pezzo di stoffa accanto a me e si allontanò. Da un armadietto prese un cerotto, e del cotone che bagnò con del disinfettante. Lo passò sulla ferita facendomi stringere i denti per il dolore.
-Non volevo farti male.-
Solo ora? Solo ora non voleva farmi male? Me ne aveva già fatto, troppo.
Nonostante tutte le ferite, la mia pelle non sarebbe mai diventata più spessa. Era sempre sottile come carta, fragile come una ragnatela, con la differenza che, lì, i segni restavano. Forse anche per sempre, come a ricordarmi cose orribili di cui io non avevo la colpa.
Le dita fredde di Benjamin alleviarono, seppur poco, il dolore bruciante che sembrava volermi strappare la pelle. Non avrei mai pensato che sarebbero state le stesse mani che mi avevano ferito quelle che poi mi avrebbero curato.
Lasciò delicatamente che il cerotto aderisse al graffio profondo, e poi mi prese per mano per avvicinarmi di nuovo al lavandino. Sfregò la mia mano con il sapone per far scivolare via il sangue che si era accollato alle dita, mi diede un asciugamano e si allontanò di pochi passi per recuperare la mia felpa.
Benjamin mi posò la felpa, nera come la sua, sulle spalle. Aspettò senza dire una parola che smettessi di stringere con forza il bordo del lavandino e alzassi le braccia per infilarle nelle maniche, che teneva in modo che fossero oblique. Fece scorrere in su la zip senza arrischiarsi a guardarmi negli occhi.
Sapeva che era colpa sua. E che altro pensava? Gli interessava davvero?
Uscì dal bagno, lasciandomi sola come aveva già fatto decine di volte. Con i miei punti interrogativi in testa che me la facevano scoppiare.

Tornai in cucina solo dopo dieci minuti buoni, e trovai due cartoni della pizzeria più buona della città sul tavolo.
-Ho ordinato una margherita per te... Non sapevo cosa...-
-Va benissimo, non preoccuparti.- Mormorai.
Non avevo per niente fame. E infatti, mentre io avevo mangiato due fette della mia pizza, lui aveva finito la sua. Non fece domande quando non mi vide finirla. Si alzò per andare a prendere computer, libro e quaderno di filosofia. Fine.
Posò tutto su un lato libero del tavolo e sparecchiò, anche se lasciò il cartone con la mia pizza davanti a me. -Ehm... Per la ricerca pensavo... Non lo so.. Cioè.. È uguale ma...-
-Beatrice, non me ne frega niente di filosofia, ora. Ti fa ancora male il taglio?-
Alzai le spalle, ricordando ciò che sapevo non avrei mai dimenticato. -Solo ora non t'importa di filosofia? Perché sembrava che stamattina e ieri fosse l'unica importante per te.-
Scosse la testa. -Ti ho chiesto come va il taglio.-
-Mi ci sono abituata.-
-Puoi dirmi che sono un idiota. Tanto... Lo so.-
Abbassai lo sguardo sugli appunti di filosofia.
-Dimmi solo una cosa. Mi dirai la verità?- Chiesi, seguendo il filo di non so quale coraggio.
-Ricordi il giorno in cui ci siamo conosciuti? In cui sei venuto da me e mi hai chiesto se volevo dividere con te la tua merenda?-
Si limitò a fissarmi, per un po'. Sembrava che non volesse far trasparire nessuna emozione, eppure i suoi occhi erano più fragili di quelli che avevo sempre visto, coperti da meno maschere. Più rotti di due occhi normali.
-Vuoi sapere se ricordo del primo giorno in cui ti ho vista?- Mormorò, come per prendere tempo.
Annuii.
E lo fece anche lui.
-Sì, Beatrice.
Ogni singolo secondo.-

Quella notte riuscii a dormire. Sognai rose gialle e salmone.

[Frase a inizio capitolo: da "Bad blood", Taylor Swift ft. Kendrick Lamar.]

bullyingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora