"E non importa se sono più brava
a parlare o lasciare cadere
ogni tua minima provocazione
che mi ferisce anche senza volere."Ogni singolo livido veniva preso di mira.
Ogni mia singola cicatrice faceva talmente male che sembrava si volesse riaprire.
Ogni pugno, colpiva una mia botta.
"Uccidimi! Farà meno male, uccidimi!" Volevo urlare.
Qualcuno cacciò un grido, e tutto si fermò. Fino a quando capii di essere stata io ad urlare.
Strinsi le coperte tra le dita e gridai di nuovo fino a quando i miei occhi non si spalancarono. Mia madre mi corse incontro e, ancora, si sedette sul letto, stringendomi i polsi. Lentamente, lasciai andare le lenzuola.
C'era mamma.
Non c'era Benjamin.
Sentivo le lacrime abbracciarmi e intorpidirmi, la schiena sudata e i capelli appiccicati al collo, gli occhi fuori dalle orbite. E tremavo. Tremavo come fossi in pericolo.
-È ancora a causa di quello che è successo oggi, piccola?- Mormorò mia madre, le braccia avvolte intorno alla mia vita e la testa posata sulla mia.
Ero troppo debole per mentire. Annuii.
-Se mi raccontassi, sarebbe più facile per me aiutarti, sai?- Forzò un sorriso spostandomi i capelli apiccicaticci dalla fronte.
-Ora non me la sento... Per favore.- La pregai. Ma in realtà non me la sarei mai sentita di raccontare qualcosa di simile a mia madre. Lei non sapeva nulla. Non avevo mai fatto parola con lei né con nessun altro di essere vittima di bullismo.
Mia madre aveva sempre sofferto tanto nella sua vita, e, insieme a mio padre, si era impegnata enormemente per potermi dare una vita sempre dignitosa, quando, mentre ero ancora una bambina, era rimasta senza lavoro. Non volevo essere un ulteriore peso per lei, il mio eroe, l'unica che c'era sempre stata per me. Ognuno aveva la sua quantità di dolore da scontare nella vita, ma io stavo pensando che la mia stesse diventando troppo.
-Ma non mi avevi mai parlato di questo tuo amico.- Mia madre interruppe i miei pensieri.
Sussultai. -Non è mio amico.-
-Se ti ha portato a casa ci dovrà pur tenere a te, no?-
-No.-
Sospirò, capendo che era una battaglia persa.
-So che non sono così presente come dovrei, Bea, ma puoi raccontarmi qualsiasi cosa ti tormenti, lo sai.- Lei sapeva che c'era qualcosa che non andava. Sapeva che c'era qualcosa e non mi forzava a dirlo. Questo mi faceva sentire in colpa il doppio. Dannazione, quanto mi odiavo.
-No mamma-, deglutii per non far sembrare così anormale la mia voce. -Ti sbagli. Va tutto bene.-Sentii suonare la campanella, e mi strinsi di più nella felpa pesante e contro al muro.
Non avevo intenzione di uscire. Non a quella ricreazione. Non avrei retto un incontro con Benjamin. Il solo ricordo di quando le nostre mani si erano sfiorate, il giorno prima, mi faceva tremare le gambe.
Lui mi odiava. Lo sapevo per certo.
Ma perché aveva voluto restare?
Sarebbe stato il mio dilemma per tutta la vita. Non avrei mai trovato il coraggio di chiederglielo.
-De Angelis, porta questi fogli in segreteria, per favore.- Sentii dire il professore.
-Cosa...?- Farfugliai.
-I fogli. In segreteria. Su De Angelis, non ha novant'anni, credo che le sue giovani gambe reggeranno il percorso classe-segreteria.-
Ma non sapeva che non era quello il problema.
Se avessi visto Benjamin e il suo gruppetto?
Ricacciai indietro le lacrime. Spingevano come se i tagli sulle mie braccia si fossero riaperti sui lividi.
Mi alzai, presi i fogli e senza salutare uscii spedita dalla classe.
C'era tantissima gente nel corridoio, come sempre. Potevano sempre notarmi.
Ma nulla, e dico nulla, passava inosservato a quei bulli.
Stavi per rientrare in classe senza nemmeno averli visti, quando una morsa gelata mi strinse poco sopra il polso. Il dolore causò uno strattone forzato che permise al braccio di liberarsi.
Mi voltai di scatto, e trovai Benjamin a guardarmi. E con quei suoi occhi color ghiaccio con cui avrei preferito non avere a che fare.
Si limitava a fissarmi. E io non riuscivo a girarmi per andarmene.
-Ang... Beatrice. Non speravo di trovarti così presto.-
Il mio respiro si bloccò tutto d'un colpo, e sentii la paura aderire al mio corpo come un vestito tagliato su misura per me.
Mi riprese il polso e cominciò a camminare.
Era troppi forte per me. Per cercassi di liberarmi, non ci riuscivo. La mia voce era frenata dalla paura. Dovevo seguirlo.
Si faceva strada come se fosse niente tra gli studenti ammassati in corridoio, quasi tutti si facessero da parte per far passare lui. Eravamo i perfetti opposti.
Salimmo tre rampe di scale per arrivare all'ultimo piano, occupato solo dall'infermeria e i laboratori di fisica, chimica, scienze della terra e l'aula computer. Lui si guardò intorno per accertarsi che non ci fosse nessun professore, e a passi decisi e veloci spinse il maniglione antipanico di una porta grigia. Se la richiuse alle spalle.
Ci trovavamo sul pianerottolo dal quale partivano le scale antincendio. Si vedeva buona parte di Milano da lì. Un pensiero mi saltò in mente solo ora. Se mi avesse picchiata? Poteva anche buttarmi giù dal pianerottolo e uccidermi. Be', forse... Nelle ultime ore ci avevo pensato continuamente.
Fissa lo sguardo perso di Benjamin.
Era solo un grande punto di domanda, come me.
Cosa succede quando due punti di domanda si scontrano?
Insieme trovano la risposta o raddoppiano la domanda?
Mi veniva voglia di rinchiudermi in una stanza buia, rifugiare la testa tra le mani e non uscirne più.
Ma le mie domande facevano troppo rumore per non essere sentite.
Benjamin avanzò di un passo verso di me. Arretrai.
Si avvicinò di altri due passi. Io arretrai di uno, ma sbattei contro la porta.
-Hai paura?- Chiese, fissando i suoi occhi azzurri nei miei.
-Perché mi hai trascinato qui?- Sviai.
-Devo solo chiederti una cosa.-
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Io gli servivo, semplicemente.
-Perché sei svenuta?-
-Hai davvero il coraggio di chiederlo?- Mi strinsi addosso la giacca con le braccia ferite. Era lì il motivo. Inciso sulla mia pelle. Mi voltai per andarmene.
Stavolta non mi prese il polso per bloccarmi.
Chiamò solo il mio nome. Per intero.
Nessun nomignolo offensivo. Solo il mio nome.
Perché sembrava ancora così dannatamente bello scandito dalla sua voce?
-Beatrice.-
Stavo lì, guardandolo come se fosse la prima volta che lo vedevo.
Quello non era il Benjamin che ogni giorno mi stringeva spalle al muro e rideva mentre mi faceva del male.
-Credimi.
M'importa davvero di quello che è successo.-[Frase a inizio capitolo: da "L'amore altrove", Francesco Renga ft. Alessandra Amoroso.]
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...