"Le parole sono armi e sanno fare male:
devi saperle usare."-Andiamo.- Dissi.
Mi alzai in piedi, e lui mi guardò con gli occhi velati di lacrime.
-Cosa?-
Presi un respiro profondo, perché nemmeno io mi capacitavo di averlo detto. -Vieni con me.-
-Dove...-
-Vieni e basta!- Quasi battei in piede per terra. -Hai la moto?-
-Credevo non volessi più salirci.-
-Infatti non voglio, ma lo farò lo stesso, se vieni con me.-
-Ma non vuoi...- Continuò a dire.
-A volte si devono fare le ultime cose che si vorrebbero per prime.-
-Come soffrire...- Sussurrò guardandomi.
Soffrire.
Non avevo mai voluto farlo. Credevi di essere troppo spaventata, non abbastanza forte. E senza neanche accorgermene mi ero trovata in un tunnel buio in cui la parola "soffrire" rimbombava ovunque. Ed ero stata spaventata, ero stata abbastanza forte senza nemmeno accorgermene. Ma a volte i forzuti si accasciano. E vogliono sparire.
-Come soffrire, sì.- Tentai di mascherare il fatto di avere il respiro corto. -Allora?-
Piano, si alzò da terra e dopo aver accuratamente evitato di toccarmi in quello spazio ristretto, lo seguii giù per le scale antincendio.
Nel parcheggio, salii sulla sua moto alzandomi sulle punte e mi tenni alla sella. Salì anche lui. Nonostante la visiera del casco, sentivo il suo profumo.
-Dove devo andare?- Chiese senza girarsi.
-Esci dalla città. Continua a seguire la strada.-
La moto fu soggetta a un potente scossone, e partì uscendo dal parcheggio. Le strade non erano trafficate a quell'ora del mattino, e fu facile arrivare in quindici minuti ad una strada abbastanza disconnessa, che saliva dolcemente come su una collina. Gli feci segno di salire ancora, mentre le case bianche della città lasciavano sempre più spazio all'erba e agli alberi. Fino a che capì da solo il posto in cui fermarsi.
Sulle prime non disse nulla: fece solo volare lo sguardo sul panorama. Due enormi pini a poca distabza da noi incorniciavano Milano ai piedi del cielo lattiginoso. Si potevano vedere con chiarezza il Duomo, il Castello e perfino alcuni grattacieli emergere dalla foschia.
Era come se tutti i nostri problemi fossero rimasti là, impigliati in qualche trappola, insieme alle maschere e alle persone che eravamo obbligati ad essere.
Mi sentivo tranquilla, anche se al mio fianco c'era lui.
-Come l'hai trovato?- Chiese, spezzando il silenzio. Quando mi voltai lo trovai che già mi stava guardando, negli occhi uno stupore da bambino.
-Mi ci portava mio papà da piccola.-
Insieme, quasi l'avessimo deciso, ci dirigemmo verso una panchina che negli anni era stata coperta da qualche graffito o iscrizione a bomboletta spray.
Il silenzio e la consapevolezza che il mondo ci aveva donato una pausa alla sua corsa erano abbastanza perché due come noi, forse così uguali, stessimo seduti lì, l'uno accanto all'altra.
-Grazie.- Mormorò di punto in bianco. -Per cosa?-
-Per avermi ascoltato e portato qui, anche se non mi devi niente. Sono io che devo qualcosa a te.-
-Mi hai raccontato la parte più importante di te...-
-Non credo pagherò mai un prezzo abbastanza alto per quello che ti ho fatto passare.-
Non risposi. E un muro sorse di nuovo da chissà dove per costringerci a uno di quei silenzi che non potevano essere riempiti. Eppure la sua voce era così prorompente da ridurli a brandelli, i miei muri. Troppe volte per ridurre a brandelli anche me.
-Se avessi conosciuto le conseguenze di quello che facevo io...-
-Non le avresti capite.-
-Cosa?-
-Tu ti capisci?-
-Mai.-
-Sei un insieme di conseguenze, e le conseguenze quasi mai si capiscono.-
Fece schioccare la lingua, in quel modo spazientito, rabbioso e ineducato tutto suo. -Non avrei continuato a farlo. Fine.- Si accorse della durezza con cui lo aveva detto e si portò una mano sul volto. -Scusa. Non intendevo essere così brusco. Ma ormai lo sai che mi è facile arrabbiarmi.-
-Arrabbiarti senza un motivo.- Lo corressi.
Non riuscì a sorridere, anche se voleva fingere di farlo.
-Sai, il momento in cui ho capito che avresti provato a... Ucciderti... Ho risentito più forte quel vuoto che ho scavato nel petto da quando è morto mio padre. La maggior parte delle volte riesco a ignorare quel vuoto, a conviverci, a guardare giù senza provare troppa paura. Quando invece ho capito che stavi per perdere te stessa a causa mia, mi sono sentito sprofondare nel vuoto della voragine, sbattendo contro le pietre che facevano più male.
So benissimo che è praticamente solo colpa mia, ma non è stato solo senso di colpa. L'idea che qualcuno possa sprecare la sua vita, e che quel qualcuno sia tu, che così tante volte tu avevo visto il terrore negli occhi... Mi ha fatto sentire quello che sono.
Un mostro.
Un mostro che può chiedere scusa, ma che comunque tale.
Non ti ho mai davvero chiesto scusa perché credevo che ciò che ti ho fatto fosse imperdonabile, ma mi piacerebbe provarci lo stesso.
Beatrice De Angelis,
mi strapperei il cuore dal petto per te. Perché lo meriteresti.-
Rimasi in silenzio, convinta che lui non capisse che, in realtà, diceva tutto ciò per provare a dissolvere la sua colpa, per salvare se stesso. Non me.[Frase a inizio capitolo: da "Oronero", Giorgia.]
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...