"E c'avrei scommesso su noi due,
e invece ognuno per le sue."Volevo andare a casa e scordarmi di tutta quella situazione, di Benjamin, del mondo.
Stavo ferma immobile mentre lo osservavo come se non l'avessi mai visto. Guardavo la linea morbida dei suoi capelli che gli cadevano giù dalla fronte, la pelle pallida che gli copriva il viso come fosse una maschera che, lo sapeva lui e lo sapevo io, non sarebbe mai riuscito a togliersi. Gli occhi di quell'azzurro caldo del mare d'estate, la minuscola cicatrice accanto al sopracciglio sinistro che solo chi era stato troppo vicino al suo viso sapeva dove cercare. Le labbra, che se le avessi baciato ancora ci avrei trovato impigliata la traccia delle mie.
Mi sarebbe mancato. Diamine; mi sarebbe mancato tanto da non respirare.
Il fatto è che noi avevamo un bisogno malato l'uno dell'altra ma eravamo incapaci di non farci del male. Significava stare vicini ma al contempo lontani anni luce e promettersi di proteggersi, ma non da se stessi.
-Devo andare a casa.- Mormorai. Lui quasi non mi sentì o forse fingeva solo di non averlo fatto. Sentiamo ciò che vogliamo sentire.
-Immagino tu voglia andare da sola.- Disse senza guardarmi.
Quelle parole mi colpirono al petto come dei coltelli affilati.
-Sì.-
-Dammi la mano.-
-Eh?-
-Ti aiuto ad alzarti.-
-Grazie.-
Mi aiuto a rimettermi in piedi tirandomi su di peso e sorreggendomi per qualche secondo. In qualche modo riuscii a trovare un minimo di forza e riuscii a staccarmi dalle sue braccia e a stare in piedi da sola anche se mi tremavano le ginocchia.
-Bea-, mi chiamò.
Alzai la testa. La sentivo d'improvviso pesantissima.
-Ti aspetterò. Anche se arriverò al punto di odiarti per la tua assenza ti aspetterò, lo sai.-
Annuii debolmente. Mi sentivo totalmente svuotata, e le sue parole mi entravano dentro con una potenza che si amplificava a causa di quel vuoto.
-Allora... Ciao.-
-Ciao.- Dissi, mentre una parte di me stava già camminando lontano da lui e un'altra restava lì e lo stringeva fortissimo.
Staccai una mano dal suo petto, mi voltai e iniziai ad andarmene. Ad ogni passo le gambe mi facevano sempre più male, e sentivo un vuoto che senza pietà mi inghiottiva senza risparmiarmi una sola goccia di sangue.
Mentre non mi voltavo, speravo solo che fermasse la mia corsa, che mi prendesse una mano e mi chiedesse di restare insieme a lui. E l'avrei fatto. Avrei gettato tutto all'aria, me ne sarei andata mille altre volte.
Nonostante non mi avesse dato molti motivi per farlo, io di lui mi fidavo. Mi fidavo pure troppo.
-Ehi.-
Mi girai così velocemente che temetti di perdere l'equilibrio, mentre un numero indefinito di brividi mi attraversava tutto il corpo.
-Ti amo, Bea.-
-Anch'io, lo sai.-
-Ho bisogno che tu me lo dica.-
Tremai un attimo sulle mie stesse gambe, e poi ritornai accanto a lui.
Lo guardai per un secondo, mi bastava, e lo baciai. E in quel bacio ci ritrovammo come due pezzi mancanti, e quel vuoto che voleva annullarmi smise di mordere e si fece da parte, spinto dalle sue braccia.
La mia pelle gelida si frapponeva alle sue labbra calde che abbracciavano le mie, che mi portavano in salvo.
Quando poi tutto finì, mi sentii per un attimo mancare l'aria.
-Ti amo.- Dissi allora, a voce alta. Come se non l'avesse mai capito, come se non gliene avessi mai dato prova.
-Ci vediamo un giorno di questi?- Chiese. Stentava a lasciarmi la mano, come se, facendolo, io me ne sarei poi andata per sempre.
-Certo.- Mi sforzai di sorridere.
Sapevo che ci saremmo ritrovati in ogni caso.
Due come noi non potevano starsi lontani; si prendevano per mano in mezzo alla folla senza nemmeno accorgersene.
Allora lui mi lasciò la mano, che cadde vicino al mio fianco.
Mi voltai, e ripresi a camminare senza più lui accanto.
___Cazzo.
Dove sono?
Sto morendo di sete.
Ma perché è tutto così buio?
Un suono.
Un suono.
I ladri.
Che sete del cazzo.
Allora.
Aspetta.
Chi ha messo Sign of the times?
S E T E !
Il mio telefono! Certo!
Sono una stupida.Allungai una mano a casaccio e spinsi per sbaglio qualche oggetto che si trovava sul comodino, fino a trovare il cellulare che spandeva la voce angelica di Harry Styles in tutta la stanza.
Prima di vedere il nome di chi mi staca chiamando, guardai l'ora.
2.38.
Chi cavolo è che mi chiamerebbe alle due e mezza passate di notte?
-Pronto.- Mugugnai.
-Beatrice? Beatrice De Angelis?-
Bastò quello per svegliarmi del tutto.
Bastò che Filippo avesse pronunciato per la prima volta il mio nome per intero.
-Cosa vuoi?- Chiesi, con voce durissima.
-Non fare così... Ti prego. È una cosa seria.-
-Certo. Dove vuoi che mi presenti stavolta? In un parco in periferia? In cima alla guglia più alta del Duomo? Non lo so, dimmi tu.- Lo attaccai.
-Ti prego-, ripeté. -Ascoltami.-
-E poi da quando puoi chiamare se sei in cella di detenzione?-
-Si tratta di Benjamin, Beatrice. Ascoltami.-
Mi zittii, e tutti i miei muri di sarcasmo mi crollarono addosso.
E per la prima volta in tutta la conversazione notai che la sua voce era spezzata, debole.
E, soprattutto, sincera.
-Cosa gli è successo? E tu che ne sai? Sta bene vero? Filippo dannazione rispondi!- Ero già sull'orlo delle lacrime.
Perché in fondo lo sapevo cosa mi aspettava.
Stringevo le coperte come se fossero una persona. Non volevo essere sola. Ma lo ero. E ci sarei rimasta per il resto della mia vita.
-Benjamin non sta bene, Beatrice.-
Affondai. Parola dopo parola.
-È ricoverato qui nell'ospedale a due isolati dalla scuola. Vieni subito qui.-
E desiderai annegare.[Frase a inizio capitolo: da "Sempre in due", Carl Brave x Franco 126.]
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...