33.

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"Lost and insicure
you found me.
Lying on the floor,
sorrounded,
sorrounded."

Non riconoscevo le strade, il mio stringergli la schiena, il paesaggio che correva con la moto accanto alla strada.
Non conoscevo i passi che la notte compiva per andarsene o il modo in cui il sole sarebbe sorto, prima o poi, dietro ai prati, i colori con cui avrebbe dipinto il cielo e la calma che avrebbe infuso nell'aria.
Non conoscevo nulla e per assurdo mi sentivo sicura.
Ero scappata. Non c'ero più, ero scappata.
Non ero in pericolo.
O, almeno, così credevo.
Non guardavo l'orologio da quando eravamo partiti, fatto sta che dopo un tempo che mi sembrò fin troppo corto, entrò in un'area di servizio e parcheggiò la moto. Saltai giù dalla sella accorgendomi di avere le dita, pur coperte dai guanti, intorpidite. Mi sentivo tutta un pezzo di ghiaccio, mentre lui sembrava perfettamente a suo agio.
Mi tolse il casco e mi passai una mano gelata nei capelli.
-Freddo?- Chiese.
Annuii. Temevo che avrei battuto i denti se solo avessi parlato.
-Vieni qui.- Allargò le braccia, e con una sicurezza che non avevo mai percepito mi ci tuffai dentro, senza più paura di annegare. La strana geometria delle nostre braccia mi fece sentire protetta, forse per la prima volta. Fu una sensazione strana. Sentii qualcosa di estraneo ai miei pensieri infilarmisi dentro al cuore senza lasciargli altra scelta, e, lì, trovarsi benissimo.
Come se il mio cuore fosse perfettamente adatto alle sensazioni che lui mi dava.
-Andiamo a mangiare qualcosa. È un'ora e mezzo che stiamo su quella moto.- Sorrise Benjamin.
Annuii, e tenendoci per mano _ sembrava sempre che fossero fatte per stringersi, quelle mani _ entrammo nell'autogrill per nulla affollato.
Ordinammo due cappuccini e brioches ed io mi dileguai per andare in bagno. Fu quando tornai che vidi o meglio, sentii, Benjamin.
-Sì, non preoccuparti.
Mi hai stufato con questa storia.
No! Non l'ho portata via per...
Piantala, sai che non dovremmo farlo...
Non sto dalla tua...
Come ti pare.-
Parlava al telefono, mi dava le spalle.
E con chi diamine parlava?
Quella lei che aveva portato via chi poteva essere se non me?
La sensazione che prima mi faceva sentire Benjamin, quella così nuova e che mi aveva già reso dipendente, venne spazzata via da una dose ingente di ansia.
Non potevo. 
Non potevo farmi prendere da un attacco di ansia.
Non ora, non lì.
Avevo sbagliato a venire?
Filippo aveva ragione? Tutto quello che Benjamin mi aveva detto e che aveva fatto per me era falso?
Ero forse in pericolo? Di nuovo, costantemente sotto una pioggia di proiettili che non mi avrebbero mai lasciato pace?
Benjamin si voltò all'improvviso, come se avesse sentito i miei pensieri che nella mia testa scalciavano facendomela pulsare. 
Sorrise. Bastò quel sorriso a calmarmi, più potente di qualsiasi medicina.
Per l'ennesima volta, con i suoi Cochi mi disse che dovevo fidarmi.
E saltai nel vuoto:
mi fidai.

-Quindi non si può proprio sapere dove mi stai portando?-
-Credo che tra poco lo scoprirai.- Sorrise, giocherellando con un tovagliolo plastificato.
-Ma io lo voglio sapere!- Mi lamentai come una bambina di cinque anni.
-Sei un'impaziente incredibile! Forse avrei dovuto scegliermi un'altra compagna di viaggio.-
Senza che mi vedesse appallottolai una bustina da zucchero vuota, quindi gliela lanciai addosso.
Oh.
Era vuota solo per metà.
Lo zucchero si riversò sulla sua faccia e sulla felpa facendomi scoppiare a ridere. E risi ancora più forte quando mi lanciò uno sguardo tra il confuso, l'interrogativo e il disappunto, con i capelli cosparsi di granelli bianchi.
-Oh, mi vendicherò, stanne certa.- Disse, tentando senza successo di nascondere il fatto che stesse per scoppiare a ridere sguaiatamente come me. 
Ce ne stemmo in quell'autogrill per praticamente un'ora, il tempo di mangiare ed esprorarlo a cima a fondo per passare in rassegna tutte le scatole di biscotti, caramelle, popcorn, tavolette di cioccolata e bibite. Avevamo comprato tantissime schifezze che avremmo finito senza alcuna difficoltà.
Sempre che l'ansia non avesse ripreso il sopravvento.
C'era l'eco di quella conversazione che avevo udito per sbaglio, che come una nuvola occupava un angolo della mia testa. Una nuvola che di passeggero aveva poco.
Mi sforzavo di non pensarci, ma come succedeva sempre in questi casi, mi ritrovavo a pensarci tanto che mi faceva male la testa.
Ripartimmo, e il tempo sembrò andare di nuovo piacevolmente veloce. Tentavo di lasciare che i miei pensieri volessero via con la forza del vento, ma successe solo a tratti.
Non so da quanto non guardavo il cielo _ dovevo essere parecchio distratta _ e quindi me ne accorsi solo quando Benjamin fermò la moto.
Colori delicati come il rosa o l'arancio chiaro dilagavano nel cielo con una forza assurda, e si riflettevano nelle increspature del lago che ci stava di fronte.
Tutto sembrava fermo, sospeso nell'aria immobile. C'era spazio solo per quell'alba, quella luce dorata che ti entrava dentro e con il suo calore ti avvolgeva il cuore.
Distolsi lo sguardo quando mi sentii quello di Benjamin addosso.
-Cosa c'è?- Non potei _ non riuscii _ a fare a meno di sorridere, mentre la luce piena del sole tagliato dell'orizzonte gli riempiva gli occhi.
-Sei bella.-
Mi rigirai, sempre con quel sorriso che ormai si era stampato lì, a causa sua. E guardai il sole, nonostante mi facesse bruciare gli occhi. Le mie guance invece bruciavano a causa sua.
Non capii veramente, quando sentii le sue labbra posarsi sulle mie.
Un modo soffice, piano, quasi mi stesse raccontando un segreto.
Mi abbracciò, portando i nostri battiti cardiaco vicini.
Solo unendo le nostre oscurità, avremmo potuto trovare un modo per avere la luce.
E non ci fu più spazio per niente, in quell'abbraccio. Eravamo complementari; non serviva nient'altro.

[Frase a inizio capitolo: da "You found me", The Fray.]

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