45.

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"What about us?
What about all the times you said
you had the answers?"

Filippo non voleva parlare, e i suoi amici tanto meno. Stavano con la bocca serrata e le spalle contro il muro. I loro silenzi sommati insieme mi pesavano addosso in un modo che, dopo un po', non riuscii più a sostenere.
Mi alzai dalla sedia rigida e scomoda di plastica blu e me ne andai. Dopo cinque minuti che camminavo a caso per i corridoi intricati raggiunsi l'ascensore e salii all'ultimo piano.
Era praticamente deserto, e c'era silenzio intorno a me, interrotto solo da qualche suono sommesso.
Il mio respiro tremolava instabile in quello spiazzo, schiacciato tra una scrivania e le finestre con le luci della città che si estendevano a perdita d'occhio.
In trance, mi accasciai su una delle sedie scomode della fila davanti all'immensa finestra. C'era ancora un mondo che scorreva, lì fuori. All'esterno di tutte le mie immense paure, di tutta la mia solitudine che soltanto Benjamin aveva riempito, un mondo rimaneva.
E pensavo a lui, che mi stringeva il cuore come in una morsa. Pensavo a lui, a come per colpa di Filippo stava combattendo in un letto di ospedale al posto che stare fuori a viverselo, quel mondo che ora mi sembrava ostile, che guardavo dalle finestre di un ospedale e lo credevo infame.
Se c'era una cosa che avevo capito era che Benjamin non ne sarebbe uscito tanto facilmente.
Mi tremavano le mani, ed ero così debole da rimanere immobile, anche se avevo voglia di prendermela con qualcuno. Ma con cosa, con chi potevo prendermela, se stavolta nessuno aveva ferito me? Con Filippo? E come facevo, se sembrava ancora più distrutto di me che non lo davo a vedere?
-Ehi-, fece una voce.
Mi voltai di scatto, e riconobbi i tratti di un viso lontanamente familiare. -Kim.-
-Sei qui per lui?-
Annuii. Mi faceva male parlare.
Si sedette a un posto di distanza da me, e iniziò a fissare le mie stesse luci. Il vuoto che aveva preso il posto del mio corpo mi stordiva. Stavo male eppure non lo riuscivo a dire.
-Non credevo sarebbero arrivati a tanto.- Mormorò Kim dopo un tempo che mi parve lunghissimo.
-Cosa...?- Mormorai sommessamente.
-Ho pensato ad alta voce, scusami.-
-Ripeti.-
-Cosa?-
-Quello che hai detto. Ripetilo.- Le intimai, con gli occhi sbarrati. Dovevo farle paura.
-Ho detto che non mi aspettavo che Filippo e i suoi arrivassero a tanto.-
-Cosa gli hanno fatto?- Chiesi con fatica.
Kim sospirò, e abbassò gli occhi. Quando li rialzò, erano pieni di lacrime. -Gli sono andati contro con la macchina. Mentre lui era in moto.
Come c'era da aspettarsi, poche ore fa il padre di Filippo ha pagato la cauzione. Lui era ancora ubriaco, ha preso la macchina di suo padre e gli è andato contro mentre tornava a casa.- Non si dilungò in dettagli. Sapeva che mi avrebbe fatto più male di quanto ora non facesse già.
-Cos'ha?- Deglutii, ma il groppo che mi bloccava la gola non accennò ad andarsene.
-Non ci vogliono dire niente. Ma so da Filippo che indossava il casco ma ha sbattuto la testa fortissimo: è sbalzato in aria e si è ritrovato la moto praticamente addosso. Io... Vorrei solo che quel casco avesse fatto la differenza...- La guardai nella penombra. Sul suo viso scorrevano lacrime che non interferivano con la sua voce. Lei parlava, forte e sicura, e intanto piangeva.
-Perché l'hanno fatto, Kim? Perché non ci lasciano in pace?-
-Ha paura. Benjamin sa qualcosa che non dovrebbe sapere, e Filippo sa che tu sei il suo punto debole. Ha cercato di colpirti più che poteva, ma senza riuscire ad affondare entrambi. Non credeva ti sapessi proteggere così. Allora ha colpito lui.-
-E ci è riuscito.- Sussurrai.

Era passata un'ora senza che nessuna delle due dicesse nulla.
Era novembre; c'era ancora buio. Un buio che si fondeva con quello dei miei occhi, fissi immobili sulla città.
Strappai lo sguardo da lì quando qualcuno entrò trafelato nella stanza.
Un amico di Filippo.
-I medici sono usciti. Vi ho cercate per tutto l'ospedale. Stanno parlando con la madre di Benjamin.-
Il mio stomaco fece un salto, e desiderai svenire.
Desiderai di essere lì con lui, in qualunque stato fosse.
Era l'unica ragione per cui avevo accettato di continuare a vivere. Avevo sempre voluto evitarlo, ma era così.
E ora mi ritrovavo ad amarlo così tanto che mi si spezzava il fiato.

[Frase a inizio capitolo: da "What about us", P!nk.]

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