15.

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"Lasciami,
non mi passerà,
morirò.
Cascherà la mia maschera
chi vedrà chi sono lascerà il posto
e mi lascerà.
Dove siamo?
Giù
nei giorni miei,
è come se fossi
incastrato dai miei mostri."

-No! Filippo, diamine, fermati!- Urlò una voce.
Sentii i suoni di una persona che si infilava tra il ragazzo con la cicatrice e quello coi piercing, sfregando contro le loro giacche di pelle.
Non vedevo nulla, gli occhi chiusi contro l'asfalto ghiacciato.
Avvertii solo qualcuno chinarsi su di me, le sue mani toccarmi il polso. Forse per accertarsi che fossi ancora viva.
I miei polmoni sussultarono per i miei continui respiri troppo deboli, così presi un respiro profondo. L'aria gelida mi scese in gola e poi nei polmoni, ricordandomi di essere viva. Aprii gli occhi vedendo la persona chinata su di me.
Sorrise di sollievo, per poi smettere subito dopo. -Mi hai fatto prendere paura, Beatrice.-
Mi porse una mano per alzarmi, ma io la rimasi a guardare come se non sapessi come si facesse ad afferrarla. È che nessuno mi aveva mai teso una mano per aiutarmi.
Per cui non accettai il suo aiuto, ma mi feci forza con le mani poggiate a terra per alzarmi in piedi.
Sentii qualcosa di caldo in faccia, e portai due dita sotto al naso. Quando le ritirai, erano scorche di sangue e granelli neri. Sangue e asfalto.
-Mi ha tirato un pugno...- Cercò di spiegare Filippo, il ragazzo della cicatrice.
-E tu che cosa le hai fatto?!- Gli gridò in faccia chi mi aveva salvato. Posai una mano sulla sua spalla.
-Kim. Non serve. Dico davvero. Grazie per quello che hai fatto.-
Feci per andarmene. Mi voltai e tirai una spallata a uno dei ragazzi ancora riuniti in cerchio, per uscirne.
Mi girai un'ultima volta. -Mi fate pena. Tutti.-
Kim li fulminò con lo sguardo, prima di andarsene anche lei. Mi aveva salvato, e le avevo implicitamente detto di lasciarmi sola.
Camminavo lentamente eppure alla massima velocità che mi era consentita dai lividi che mi bruciavano sulle spalle, e non mi preoccupavo di non strascicare i piedi per terra.
Camminavo in una via deserta appena fuori la periferia di Milano. Enormi platani perdevano le foglie ad un lato della strada, e soffiavano verso di me. Alla mia destra, dall'altro lato della strada si succedevano regolarmente edifici alti in cui avevano sede case e negozi. Mi vedevo riflessa nelle loro vetrine, anche se sforzavo di abbassare lo sguardo e non continuare a fissare il disastro che ero.
Non avevo idea di dove andare. Mi sentivo terribilmente sola, dentro e fuori. Nessuno vedeva, tutti erano ignoranti o indifferenti. E l'indifferenza che tutti avevano sempre dimostrato alla mia situazione non faceva altro che sferrarmi i colpi finali, che mi facevano rinunciare a combattere.
E dentro di me... Dentro di me non c'era più niente. Era tutto fatto a brandelli. Il mio cuore lacerato, tutto il resto distrutto fino all'ultimo granello di fiducia verso chiunque. Verso me. Se inspiegabilmente qualcosa era rimasto in piedi, prendendolo in mano quello si sarebbe sgretolato. Non capivo cosa stesse realmente succedendo: non sentivo nulla. Il vento, il gelo, il dolore, le mie gambe che si muovevano per inerzia, il mio respiro che andava avanti per autonomia propria. Sembravo entrata in un corpo che non era il mio. Sentivo di essermi infiltrata ad una festa alla quale tutti parlano la stessa lingua, ma diversa dalla mia.
-Ehi, tu!-
La mia testa si voltò di scatto, meccanica.
-Hai bisogno d'aiuto?-
Chi aveva parlato era un ragazzo sui venticinque anni, con una corta barba a coprirgli le guance e un cespo di capelli ricci e castani in testa. Stava sulla soglia di una porta, metà fuori e metà dentro, e parlava proprio con me.
La mia testa annuì, e il mio corpo si mosse per arrivare fino a lui.
Ma solo il mio corpo. Era lui che faceva tutto. Il mio corpo aveva bisogno d'aiuto. Io no.

Il ragazzo si chiamava Lorenzo, e abitava nell'appartamento del quale stava sulla porta. Era sposato con Nicole, che gli aveva donato la figlia Aurora.
Tutti e due mi avevano accolto come una seconda figlia, nonostante il mio aspetto. Riuscii a specchiarmi solo nel loro bagno, nuda, prima di entrare nella doccia.
Il mio viso era tagliato da continui graffi che ormai Nicole aveva disinfettato, e una guancia era già livida. Non aiutava certo la mia espressione sofferente.
I lividi dovuti ai colpi che avevano incontrato la mia pelle erano sempre lì, mi coronavano le spalle come fossero ali.
La ferita che mi aveva curato Benjamin era ancora profonda.
Lui sarebbe sempre rimasto la mia ferita sanguinante.

Fu proprio Benjamin che mi chiamò quando mi fui rivestita. Lorenzo mi porse il telefono, avvisandomi che era già la quinta volta che un certo "Benjamin" provava a raggiungermi. 
Lo ringraziai, presi il telefono e mi rifugiai sul piccolo terrazzo.
Mi sedetti, spalle al muro, con Milano davanti.
-Dove diamine sei?! Dovevi essere qui un'ora fa, sarei io quello che si dimentica le cose, De Angelis?-
-Li hai mandati tu, vero?- Mormorai.
-Non ti sento! Parla più forte dannazione, mica ti mangio!-
-Li hai mandati tu, vero?- Quasi urlai, scendendo ogni parola.
-Sei per caso impazzita? Di che cavolata saresti parlando?-
-Loro... Loro sei... Per... Per cogliermi di s... Sorpresa...- Mi odiai per il mio barbettare così tanto.
-Coglierti di sorpresa?! Le uniche cose che ti ho mandato sono gli argomenti di quella dannata ricerca di filosofia!- Quasi gridò. 
-I tuoi amici, Benjamin-, dissi, buttando indietro le lacrime. -Filippo, e gli altri.-
Silenzio.
La manica della felpa scivolò in giù, rivelando il colore cianotico della mia pelle.
-Cos'è successo?-
Una ragazza e un ragazzo avanzavano a fianco della strada.
-Lo sai benissimo.- Dissi.
Ridevano. E a tratti urlavano. Erano felici.
-Posso giurarti su tutto quello che ho che non ne so niente.- La sua voce si era fatta più graffiata. -Niente, Beatrice.-
I miei occhi scivolarono sulle loro mani incrociate, lì come se fosse quello il loro posto. 
-Dimmi che cos'è successo. So che... Non mi devi assolutamente niente. Lo so perfettamente. Se mai è il contrario. Ma... Ti chiedo per favore di dirmi quello che ti è successo.-
Il ragazzo fece a lei una linguaccia, e quella ricambiò con uno schiaffo sul braccio e con una risata.
-Beatrice, ci sei ancora?-
Il ragazzo rise, di rimando.
-Okay, non vuoi dirmelo ma...-
A me non era mai successo.
-Qualunque cose fosse... Mi dispiace, ecco.-
Nessuno mi aveva mai picchiata per scherzo. 
-Stavo venendo da te, quando i sei ragazzi che ti seguono sempre, che con le loro risate hanno reso sempre tutto peggiore mi hanno vista e raggiunto. Mi hanno preso a schiaffi, pugni, calci, sbattuta a terra. Hanno fatto anche la tua parte, Benjamin, se è di questo che ti preoccupi.-
Il silenzio che ci fu dall'altra parte fu un pugnale che mi si piantò nel petto senza esitazioni.
Poi sentii qualcosa.
Un rumore spezzato. Qualcuno che tirava su con il naso. Quasi un singhiozzo.
Aspetta.
Benjamin stava piangendo?
Benjamin, il ragazzo a causa del quale avevo pianto fino a perderci tutte le lacrime e ogni sensibilità, stava piangendo a causa mia?

[Frase a inizio capitolo: da "Lulu", Nayt.]

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ehi
spero che il capitolo vi piaccia; scrivetemi il vostro parere nei commenti come sempre.

inoltre, qual'è la vostra canzone preferita al momento e quella di sempre? le mie sono "le parole più grandi" di coez e un pezzo di tiziano ferro.

see u at the next update (chi mi segue da secret capirà),
C.🌙

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