37. [Benjamin's p.o.v.]

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"Well you see her when you fall asleep
but never too touch
and never to keep
cause you loved her too much
and you dived too deep."

-È solo un vestito! Quanto tempo ti ci vuole a metterla?-
-No, no no no no no, no Benjamin io non esco.- Disse serrando le mani sui bordi delle tende del camerino per evitare che le facessi scorrere via.
L'avevo letteralmente obbligata a venire a comprarsi un vestito per la festa di quella sera. E dato che le mie conoscenze della moda da donna si limitavano ai vestitini striminziti che vedevo sul corpo delle ragazze alle solite feste in cui mi ritrovavo, avevo semplicemente preso dei vestiti a caso e l'avevo confinata in camerino con quelli.
Avvertii che era distratta, per cui strattonai la tenda e mi si parò davanti lei.
Mi dimenticai per qualche secondo di respirare, con lei e quel vestito davanti.
Era nero, e le lasciava scoperte solo spalle e braccia. La fasciava perfettamente. In quel senso. Voglio dire... Diamine, avrei fatto meglio a non aprire. La stoffa le scendeva leggera sulla schiena e più giù, assecondando alla perfezione ogni sua curva perfetta. Le saliva sul ventre piatto e si faceva in là per coprirle il seno, per poi interrompersi poco sotto il collo.
Deglutii.
-Allora?- Chiese. -Sto malissimo, vero? Bene. Cambiamo. Verrò in jeans e...-
Avrei voluto dirle quanto era bella. Quanto per me esistesse soltanto lei, ormai. Che avrei voluto abbracciarla fino a farsi sentire salva da me e da sé, ma che il mio fisico non si sarebbe limitato a quello. Avrei voluto renderla sicura in ogni modo possibile.
Infatti, dopo aver distrutto per più volte una persona non puoi fare altro che provare a salvarla, ricordarti come si fa.
Ma non riuscii a fare nulla di tutto questo. -Stai... Bene. Ti sta bene.- Farfugliai.
Idiota. È la cosa più bella che tu abbia mai visto e sai solo dirle che "sta bene"? Fatti curare.
Un leggero sorriso illuminò appena il suo viso.
___

Fuori dal locale non c'era troppa fila, ed entrammo velocemente. All'interno, al contrario, c'era tantissima gente che scalciava e sgomitava (ovvero "ballava") o se ne stava addossata al muro a fumare, bere o limonare.
Niente di nuovo. Per me. Beatrice si guardava intorno spaesata. Quasi tremava, e si vedeva lontano un chilometro che si stava chiedendo perché aveva accettato l'invito a quella festa. Le presi la mano e la strinsi. Prima che potessimo muoverci, due ragazze e due ragazzi ci travolsero. Mi sembrò di riconoscere le ragazze che ci avevano invitato alla festa.
-Siete venutiiii!- Esclamò una delle due, cadendomi praticamente addosso nel tentativo di abbracciarmi. Era già ubriaca.
Me la tolsi di dosso e salutò anche Beatrice. Non le lasciai la mano.
Parlò anche l'altra ragazza _ Sophia _ e mi dimostrò di essere ubriaca anche lei. -Vi presento...-, nome strascicato. -E poi c'è anche...-, altro nome che non m'interessava capire. Feci un cenno ai due ragazzi. Ubriachi marci.
Insomma, nemmeno si accorsero che io e Bea andammo via mentre praticamente stavano ancora parlando.
-Quando se ne accorgeranno sarà l'alba.- Sbuffò lei, ma sorridendo.
-Devono reggere veramente poco.- Commentai. Ci ritrovammo davanti al bancone del bar, e neanche il tempo di accorgermene che di nuovo Sara e Sophia _ non so nemmeno come _ ci salutarono come se non ci avessero già visto trenta secondi prima. Ma quanto avevano bevuto?
-Ragazzii, dai prendete qualcosa con noi.- Disse Sophia, crollandomi addosso. A malavoglia, lasciai la mano di Beatrice per rimetterla in piedi.
-Barista! Ragazzo! Sì insomma, tu. Un'isola lunga per favore... Ho sete!- Si afferrò la gola come se fosse riarsa.
Lui la guardò in modo interrogativo. -Intendi un Long Island?-
-Come pare a te.- Rispose, corrucciata.
-Una birra-, gli dissi anch'io.
Non mi sarei ubriacato; non volevo farlo. Non volevo perdere il controllo se avevo Beatrice accanto.

Le immagini che ho di quella sera sono disgustosamente sfocate. Ricordo Sophia che prima di finire il drink si era sentita male e l'avevamo accompagnata fuori a vomitare, ed io che quasi distrattamente avevo bevuto ciò che restava nel suo bicchiere. Ho un ricordo confuso di Beatrice che mi tira per il braccio per trascinarmi fori dal locale, e subito dopo che non mi lascia mentre cerca di ricordarsi la via di casa. Dovevo averle mugugnato qualcosa a proposito della direzione, e poi mi aveva condotto in una strada illuminata da qualche lampione di una luce fioca, così messo male che sembrava l'avessero piantato lì per caso. Non riuscivo a vedere le stelle se non strizzando gli occhi, e Beatrice accanto a me camminava piano, e la sentivi appena respirare, mentre i capelli le scivolavano giù dalle spalle e le finivano davanti al viso. So poi che tutto d'un tratto le avevo circondato la schiena con un braccio, l'avevo attirata più vicino e l'avevo baciata, premendo forte le mie labbra sulle sue. E ricordo anche che in quel preciso istante mi resi conto di essere brillo. 
-Non volevo bere, Bea...- Dissi in modo strascicato. 
-Smettila. Andiamo a casa.-
-Non arrabbiarti con me.- Quel tono mi ricordò mio fratello. Tre anni. -Non  voglio tornare a casa, Bea. Odio casa mia. Lì c'è mia madre che mi odia, e poi c'è Filippo; io lo odio, lui non mi odia ma vorrei che lo facesse e... Io sto bene qua con te. Non te l'ho mai detto, e sono stato uno sciocco a non farlo. Ma tu stai bene con me? Sono un idiota per essermi comportato così, sai? Tutta quella merda... é stato stupido. Io sono stupido.- Blaterai, fino ad accorgermi di essere davanti alla casa di mio padre. 
-Ce l'hai la chiave per aprire?- Chiese Beatrice. 
Dopo averla trovata nelle tasche, con le capacità motorie di un bradipo femmina incinta mi diressi verso la porta e, una volta entrato, in camera, senza lasciare la mano di Beatrice. 

Mi gettai a peso morto sul letto, incurante del fatto di puzzare di fumo e alcool in una maniera allucinante, e sentii le mani di lei frusciare sulle coperte che dopo qualche istante mi ritrovai posate sul corpo. 

Beatrice si avvicinò a me fino a che i suoi capelli mi solleticarono le guance. Sentivo il suo respiro caldo accarezzarmi come una brezza dolce. Vedevo la sua pelle lattea illuminata dalla debole luce argentea della luna con troppa chiarezza per essere ubriaco. Le sue mani mi passavano tra i capelli facendomi sentire tremendamente lucido e stordito allo stesso tempo. Avrei voluto stringerla a me fino a farle dimenticare tutto, e capirla. Perché ci sentiamo tutti un po' meglio se ci sentiamo capiti. 

Le chiesi se poteva restare. Non volevo altro, in quel momento. 
-Va bene.- Sussurrò. 
-Fino a domani, okay? Non voglio svegliarmi e non trovarti qui.-
-Va bene.- Ripeté. Stavolta sorrise. 
Allora si fece un po' più vicino, posando la testa sul mio petto. 

Ci fu una seconda cosa di cui mi resi conto quella sera. Ed era sempre stata lì, da qualche parte, su qualche ripiano del cuore dimenticato e polveroso. Era sempre stata lì, dico davvero. Solo, non l'avevo mai cercata.
Mi costava forse un po' ammetterlo, essendo cosciente di tutto il male che le avevo fatto, ma non potevo farne a meno. Mi ero innamorato di Beatrice. 

[Frase a inizio capitolo: da "Let her go", Passenger.]

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