"Non capisco dove sia
casa mia
mi chiedevo se
salto nel vuoto vieni con me?"-È che non riesco a spiegarmi il fatto di essere riuscita a perdonarlo, Mattia.- Dissi in tono lamentoso allo psicologo mentre tiravo nervosamente un filo che sporgeva dal maglione.
-Forse hai semplicemente capito che fino a quel momento era stato tutto sbagliato, tra voi. E vuoi provare anche tu a fare le cose giuste, per una volta.-
-Eppure celo stesso qualcosa di sbagliato tra noi. È come se qualcosa fosse rotto dall'inizio. I rapporti che legano le persone me li immagino che, terminati, con tutte le loro complicazioni, e impacchettati perfettamente scorrono su un nastro trasportatore collegato alle persone. Il nostro rapporto è scorso su quel nastro trasportatore senza che nessuno si accorgesse che aveva un difetto di fabbrica che l'avrebbe reso soffocante come una stanza chiusa da tempo. Ma io nelle stanze chiuse non ci so vivere. A me viene da spaccare tutto, prima o poi, e da scoppiare se mi vietano di farlo. Ma sempre per quella storia del rapporto malato che ci lega, con lui non succede. Con lui mi sento come se avesse distrutto così tanto che mi basta guardare i suoi occhi devastati per tranquillizzarmi e sapere che non sono l'unica che è stata sotto le macerie del proprio cuore fino a sentirsi morire. E allora mi viene in mente che non vorrei creare altre macerie che poi mi si riverserebbero addosso.- Mi fermai di punto in bianco, come se mi fossi scordata cosa dire. Avevo il fiato corto, e i miei pensieri che aleggiavano nella stanza.
-Ti proteggi dal mondo, Beatrice. Non devi chiedere perdono a nessuno per questo, ma solo capire che ci sono tanti posti sicuri, oltre ai precipizi e alle foreste infestate nei quali ti sei sempre imbattuta.- Disse Mattia, calmo, con la sua voce calma e i suoi occhi calmi. Era sempre calmo, lui. Mi chiesi se avesse mai provato la voglia di spaccare qualcosa.
-L'altro giorno ho spaccato uno specchio.- Rivelai, senza un vero motivo.
-Ci sei ricaduta?- Chiese lui, alzando gli occhi per guardarmi.
-Mi stavo guardando allo specchio e...- Abbassai lo sguardo, e portai in avanti le spalle, rimanendo china verso le mie ginocchia. -Mi stavo guardando allo specchio e non mi è piaciuto quello che ho visto nel riflesso.- E poi non ero riuscita a bloccare la mano che si era proiettata a velocità quasi invisibile sullo specchio. E il vetro si era venato di innumerevoli crepe, in un movimento che mi ricordò la linea della schiuma delle onde del mare, sempre in movimento. Il dolore mi attraversò le vene come frecce che mi squarciarono le braccia. Vidi le gocce di sangue scivolare giù per la superficie liscia, accanto al mio riflesso. Una scia di sangue mi tagliava il viso, e una spaccatura nel vetro alterava la mia immagine in un modo geometrico, strano.
Ebbi paura di me.
Vidi piombarmi addosso tutto il dolore che avevo desiderato tante volte finisse. Ma stavolta ero io a infliggermelo.
-Non ci sono ricaduta, Mattia...- Dissi con voce vuota. -Non ne sono mai uscita. E forse non ne uscirò mai.-
-Il che mi fa pensare _ permettimi di dirlo _ che l'unica persona che ti renda un minimo felice, sia Benjamin.-
Fissai la foto di una città a me sconosciuta incollata al muro. Una città che, probabilmente, non avrei mai visitato.
-È possibile che chi ti ha distrutto così tante volte da perderne il conto possa renderti felice?-
-Un rapporto difettoso come il vostro ha enormi difetti, ma per contro anche pregi smisurati. Lui ti può regalare una felicità immensa, ma anche che un dolore che sarebbe capace di annullarla in un istante. Il confine tra i due è così sottile che non vi accorgete nemmeno quando lo oltrepassate. Dagli una possibilità, Beatrice. Da come mi racconti di lui, ho capito che hai bisogno di lui.-
-Ma lui...- Tentai.
-Lui ha bisogno di te. Siete due meno che solo insieme potranno formare un più.-
-Ma se non riusciamo nemmeno a starci vicini per un po'.-
Scosse la testa, ma non rispose.
___Io ci avevo provato, a dormire, ma avevo chiuso gli occhi sì e no per due ore tra le dieci e le tre. Sapevo che il mattino dopo non sarei riuscita nemmeno a reggermi in piedi nel vero senso della parola. Avrei dovuto bere un bicchiere di caffè come i tre giorni precedenti, e forse prendere un tranquillante, per sentire il mio cuore calmarsi in quel modo meccanico e obbligato che detestavo. Ma i miei pensieri mi avrebbero divorato la mente lo stesso.
Una luce accanto a me si accese all'improvviso facendomi trasalire. Alzai la testa di scatto, e con un respiro di sollievo mi accorsi che era solo il mio cellulare.
Benjamin.
Senza che potessi controllarmi, sorrisi, ricordando le parole di Mattia. Dagli una possibilità.
Lui ha bisogno di te.
Tu hai bisogno di lui.
Presi il cellulare, e risposi.
-Ehi, disturbo?-
-Ehi. Non avrei risposto, nel caso.-
-Meno male. Devo chiederti una cosa.-
-Spara.-
-Hai detto che te ne vorresti andare da qui, giusto?-
-Sì.-
-Puoi dirmi che cosa provi esattamente quando ci pensi?- Chiese, in un tono che non avevo mai sentito, colmo di un significato che conosceva soltanto lui.
-Quando sono in mezzo alla folla mi capita spesso, di sentirmi sprofondare e di non essere vista da nessuno, di avere dentro una voragine che qualcun altro scambierebbe per una comune buca.
Gli altri le loro voragini le riempiono di niente, come si riempiono le trappole di foglie per nasconderle. Io non ne sono mai stata capace. E penso sempre che il modo per aggiustarmi almeno un po' sia sempre altrove, e non in queste vie che ho calpestato, nei tramonti che non sanno di fine e nel buio in cui non riesco a dormire.
Voglio andare via da sempre, perché non ho mai avuto una costante accanto a me, e allora ho cominciato ad avere paura di chi resta.
Di te.
Scappando sempre, non ti devi legare a niente. E l'ho sempre desiderato.-
-Se ti chiedessero di partire ora, che faresti?- Chiese a bruciapelo.
-Non... Non lo so... Dipende da...-
-Sì o no?-
-Sì.-
-Sì partiresti?-
-Partirei.-
-Ce la fai a venire di sotto?-
-Cosa?-
-Dai, vieni, sono fuori.-
-Cosa significa sei... Che cosa ci fai qui?- Mi ero alzata dal letto e una volta davanti alla finestra avevo scostato le tende, per poi vederlo in mezzo al marciapiede vuoto davanti al cancello di casa mia. Guardava nella mia direzione.
-Voglio andare via, vieni con me?-
-Dove...-
-È importante dove?-
Esitai. E poi sentii sulla pelle quella sensazione di diversità da tutti. Non volevo risentirmi così. -No. No, non è importante.-
Mi sembrò di vedere un sorriso sul suo volto nascosto dal buio. -Scendi. Ti porto via.-[Frase a inizio capitolo: da "Le luci della città", Coez.]
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Non so più neanche io quanto amo Coez, ciao. Lo ascolto da tutta l'estate ma ne sono ossessionata.
Fatemi sapere cosa ne pensate, bye.🌸
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...