"Ho conosciuto il dolore,
di persona, s'intende,
e lui mi ha conosciuto:
siamo amici da sempre.
Io non l'ho mai perduto,
lui tanto meno
che anzi si sente come finito se per un giorno solo
non mi vede
o non mi sente."-È una presa in giro? Un fottuto scherzo?- Chiesi, dura.
Ma qualcosa, nei suoi occhi, mi suggeriva che era sincero.
-Ti ripeto che mi importa davvero, okay? So che è colpa mia, e ti ho già chiesto scusa.- Mi puntò contro il dito, come per difendersi.
-Ah si?- Gridai. -Credi che tutto quello che mi hai fatto si possa cancellare con uno stupido scusa?-
Non so cosa mi prese. Sentivo la pelle bruciare, come se i lividi su tutto il mio corpo urlassero e combattessero per essere sentiti. E non solo da me.
Tirai giù la zip della felpa, la tolsi rabbiosamente e la gettai a terra in un gesto che mi fece male.
Il vento gelido mi sferzò la pelle da subito, accarezzando i segni violacei che coprivano le mie braccia, le spalle e l'inizio del collo. Sembrava che un artista si fosse divertito ad aggiungere colore alla mia pelle pallida.
Ma Benjamin non era un artista e quello non era colore.
Avevo il fiatone e gli occhi spalancati, la felpa in terra ai miei piedi, le botte e i graffi a squarciarmi la pelle.
Gli occhi di Benjamin erano fissi sulla mia pelle ormai non più pallida.
In quel momento sembravamo così simili, ma, al contempo, le persone più lontane del mondo.
Lui con il corpo decorato di tatuaggi, io con un corpo dipinto di lividi.
-È tutto a causa tua, questo, lo sai?- Gridai.
Volevo picchiarlo, graffiarlo anche se avrebbe raddoppiato il dolore, ma non ne avevo le forze.
Lui stava zitto. Non muoveva lo sguardo nemmeno ad obbligarlo.
E, alla fine, mi rimisi solo la felpa. E silenziosamente scivolai via da lì.
Con i miei lividi e la mia sensazione di non appartenere a nulla.Sapevo che quella notte non sarei riuscita a dormire, e non m'importava più di tanto.
Mi liberai dalle coperte del letto e mi sedetti accanto alla finestra. Si vedeva la luna.
Qualcosa di lampeggiante distolse la mia attenzione dal cielo incredibilmente stellato. Era il mio cellulare. Sbuffai. Non l'avevo spento. Mi alzai controvoglia e lo andai a prendere per spegnerlo, ma il nome di chi mi aveva inviato il messaggio mi fece rimanere in piedi immobile come una statua per almeno un minuto."Volevo solo che sapessi che mi dispiace, Beatrice."
Lo odiai. Ancora una volta, ancora di più.
"Dirlo ad alta voce non avrebbe guastato."
Digitai velocemente.
Sorprendentemente, la sua risposta arrivò quasi subito."Non ci sono riuscito. Ho visto troppo, e non ce l'ho fatta."
Le mie dita formicolarono. Non m'importava del dolore che avrei patito. In quel momento l'avrei picchiato così forte da farlo svenire come era successo con me.
"E non credi che in questi anni a causa tua io abbia sempre visto troppo? Nemmeno io sono mai riuscita a dire nulla, ma tu non te ne sei mai andato come ho fatto io. Hai saputo solo spaventarti di fronte a ciò che hai fatto tu. Sei un codardo, Benjamin."
"Continueremo questo discorso domani."
"Io domani non continuo questo discorso. Io non voglio che ti avvicini a me mai più."
"Se lo vuoi domani parleremo. Non si può risolvere tutto dietro ad un cellulare."
Eccome se lo sapevo. Sarei stata capace di dirgli queste cose di persona?
"Nemmeno con la violenza."
[Frase a inizio capitolo: da "Ho conosciuto il dolore", Roberto Vecchioni.]
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bullying
Teen Fiction"Forse ti vedrò, in classe, con quel tuo solito guardare fuori dalla finestra come se ci fosse davvero qualcosa da vedere. Se ci penso _ voglio dire, se penso a te _ capisco che dopotutto non ho bisogno di nient'altro." 14.12.2017, #11 in teen ficti...