Capitolo 5 - Si vede quanto ti dispiace!

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Mi aiutò lentamente a mettermi in piedi, togliendomi prima la bici di dosso e poi facendomi poggiare con un braccio intorno alle sue spalle.

«Ciao...» le dissi io un po' imbarazzata.

Quel giorno volevo evitare di fare delle stupide figure di merda, ma ce l'avevo nel sangue, non potevo non farle, soprattutto davanti a persone che non conoscevo (o persone appena conosciute). Era nel mio DNA. Molti erano nati con la musica nel sangue, altri erano più portati per gli sport o per il disegno, io ero bravissima a fare figure di merda. Era un talento anche quello!!

«Ti sei fatta male??» mi chiese.

«No no, sto bene...» risposi io, anche se il ginocchio mi faceva molto male.

«Beh, io stavo entrando in auto... Dai, vieni con me!!» mi disse aprendomi la portiera di un'auto rossa lì accanto.

Io entrai dentro, con il suo aiuto, e poco dopo chiuse subito la portiera. Aprì lo sportello dietro, posò la bici sui sedili posteriori dell'auto, e dopo salì anche lei.

«Come mai sei sotto la pioggia con una bicicletta??» mi chiese.

«Niente di che, facevo un giro...» risposi io vagamente.

«E che cos'hai lì??» mi chiese posandomi l'indice e il pollice sotto il mento, voltando il mio viso verso di lei. «Chi ti ha fatto questo livido?»

«Nessuno...» risposi subito posando il mio sguardo sulle auto che c'erano in strada. «Sarà per la caduta che ho fatto prima...» le dissi io mentre lei mise in moto e partimmo.

«Hai preso una botta alla gamba, non alla faccia!!» mi disse Alessandra accendendo l'aria condizionata provando a farmi asciugare un po'. «Ti arriva l'aria calda??» mi chiese qualche minuto dopo.

«Si si...» risposi io posando prima lo sguardo sulla strada e poi su di lei. «Dove stiamo andando??»

«A casa mia!!» rispose lei. «Sai, lì dentro abbiamo fatto proprio un bel casino...»

«Per questo te ne stai andando a casa? Ti hanno cacciata via?» le chiesi io.

«In un certo senso...» rispose lei sorridendo leggermente.

«Mi dispiace!» le dissi.

«Non dovrebbe dispiacerti, io non vedevo l'ora di uscire da lì. I tuoi parenti poi mi guardavano tutti in modo strano e chiacchieravano tra di loro, quindi preferisco tornarmene a casa piuttosto che restare lì in mezzo ai loro sguardi.» mi spiegò lei.

«Ti capisco, io ci sto da una vita in mezzo a quegli sguardi...» continuai io.

Una mezz'oretta dopo ci ritrovammo in un parcheggio di fronte ad un palazzo azzurro, dove scesi con l'aiuto di Alessandra e lentamente entrammo nel palazzo. Lei mi fece poggiare un braccio sulle sue spalle e piano piano entrammo nell'ascensore, e proprio quando fummo dentro mi staccai da lei. Mi poggiai con la schiena contro lo specchio dell'ascensore e lei spinse il bottone per salire. Terzo piano, un piano ne troppo alto ne troppo basso, col tempo giusto per darle un bacio e scappare appena si aprissero le porte. Anche se con quella gamba dolorante non mi sarei allontanata molto. Non riuscivo a togliermi quei pensieri dalla testa, mi misi anche le mani sul volto ma quelle immagini ce le avevo in testa non davanti agli occhi.

«Che cos'hai??» mi chiese lei.

«Niente...» risposi io togliendomi le mani dal viso e fissando una pallina di polvere a terra.

«E allora come mai hai tolto il tuo braccio dalle mie spalle?? Ti fa male il ginocchio, non dovresti sforzarlo...»

«Ho i vestiti completamente bagnati, non mi va di bagnare anche i tuoi...» risposi io appena l'ascensore si fermò.

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