CAPITOLO 22

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Avevo bevuto ancora e ancora.

La pancia mi scoppiava e la testa mi vorticava in una maniera orrenda.

Ogni volta che la mia mente tornava a pensare inconsciamente ad Adrian, bevevo per dimenticare. E così accadeva.

Tornava a galla e lo rimandavo giù come se nulla fosse.

E quanto tempo era passato da quando Jake se n'era andato?

E se mi avesse detto una bugia e mi avesse lasciata lì? Impossibile...

La porta si aprì e alla vista del corpo che avevo davanti, rimasi immobile. Come se questo potesse nascondermi.

Mi feci piccola piccola e bevvi un altro goccio, aspettando.

Poi, fece due passi in avanti e andò verso il bancone con una mano tra i capelli.

Che cosa ci faceva lì?

Da solo, per giunta.

Si guardò attorno, prima a sinistra e poi... mi guardò.

I suoi occhi s'incrociarono con i miei e la sua faccia divenne seria.

Mi si avvicinò a passo veloce e si sedette davanti a me, spostandomi il bicchiere da davanti la faccia.

Protettivo come con Greta, d'altronde.

"Jason? Che ci fai qui?", tentai di chiedere con la voce più sobria possibile.

"Che ci fai qui tu, se mai... sei ubriaca!", ringhiò a bassa voce, "con chi sei?", mi chiese furente.

Oh, no.

Speravo con tutta me stessa che Jake non rientrasse proprio ora o Jason l'avrebbe ammazzato anche qui davanti a tutti.

Scossi la testa e rimasi in silenzio.

"Con chi sei, Lidya?", chiese ancora.

Rabbrividii dal suo tono di voce fin troppo simile a quello arrabbiato di Adrian e mi feci più indietro.

"Con un mio amico", risposi sottovoce, sapendo che mi avrebbe sentita anche così.

"Un tuo... amico? Tu non hai amici maschi a parte noi!", ribatté lui.

Ci rifletté un attimo su e impallidii all'istante.

"David. Eri con lui?", domandò.

Scossi la testa e alzai le mani in segno di difesa.

"No, no, no... io e David nemmeno ci parliamo più", risposi sinceramente.

"E, allora, chi era?", chiese ancora.

"Te l'ho detto Jason... un mio amico. Basta", sperai di fermarlo e, subito dopo le mie ultime parole, rimase in silenzio ad aspettare un qualcosa che probabilmente non arrivò.

"Andiamocene. Ti riporto a casa", mi prese dal gomito e mi alzò con forza.

"Mi gira la testa... fai piano", mi lamentai con una mano premuta sulla fronte.

Sbuffò.

"Sei quasi peggio di mia sorella", si lamentò, alzando gli occhi al cielo.

Mi appoggiai a lui e raggiungemmo la cassa.

"Quant'è il suo conto?", domandò Jason ad un ragazzo dai corti capelli biondi.

"Oh, ha già pagato il suo fidanzato per lei", mi sorrise.

Fidanzato?

"Non è il mio...", cercai di ribattere; ma Jason mi portò via e le ultime parole si dispersero nel vento.

"Non fa nulla, grazie", mi fermò subito, salutando il ragazzo con un sorriso tirato.

Uscimmo fuori dal locale e, finalmente, respirai l'aria fresca.

"Dov'è lui?", domandò.

"Sta venendo a prendermi. Siamo venuti qui in moto e ora sta tornando con la macchina", spiegai brevemente.

"Beh, mi sa tanto che il tuo amico non ti troverà al suo ritorno"

Detto questo, mise un braccio sotto alle mie gambe e mi tirò su, prendendomi in braccio.

"Ma che fai?!", lo sgridai.

"Ti porto fino alla macchina. Sei lenta", rispose in maniera brusca.

Non replicai, visti i suoi toni, e mi feci portare fin dentro alla sua macchina dove, con velocità, mi allacciò la cintura.

In un attimo, fece il giro dell'auto e partimmo come se nulla fosse.

Ci fu soltanto il silenzio ed il rumore dei nostri respiri. Nient'altro.

Nemmeno la radio era accesa; così, mi sporsi e schiacciai il tasto di accensione, alzando il volume.

In quel momento, qualsiasi canzone era molto meglio dell'aria negativa che tirava là dentro.

Jason mi lanciò un'occhiata e sospirò.

Era arrabbiato, glielo leggevo negli occhi.

Mi appoggiai con la faccia contro al finestrino gelido e, in meno di mezzo secondo, mi addormentai con il pensiero che Adrian mi stesse solamente accarezzando la guancia.

***

Mi svegliai in piena notte con un forte senso di nausea.

Mi rigirai in modo da poter scendere dal letto; ma, apposta che il pavimento, incontrai il muro sul quale battei una testata.

Strinsi i denti per il dolore e pensai a quanto già avessi mal di testa.

Ma chi aveva messo, ora, un muro da quella parte?

La luce si accese ed un corpo famigliare mi corse incontro, prendendomi per le braccia ed aiutandomi nell'impresa.

Mi tirai su e guardai Jason senza capire.

Dietro di lui, una stanza dai toni rosati e una scrivania bianca: la camera di Greta.

Ma che ci facevo lì?

Non feci in tempo a chiederglielo che un conato di vomito mi venne su, facendomi trattenere il respiro.

Spostai Jason con una mano e corsi al bagno alla velocità della luce e, non appena appoggiai la testa dentro al water, rimessi.

Non potevo crederci!

Sentii una mano reggermi i capelli e un'altra massaggiarmi la schiena.

"Butta fuori tutto. Fidati che dopo starai meglio", scherzò lui.

Avrei, invece, voluto chiedergli di andarsene e di lasciarmi la mia privacy; ma non riuscivo dal momento che appena aprivo bocca mi usciva di tutto tranne che le parole.

Chiusi gli occhi e, menomale, la danza all'interno del mio stomaco si fermò.

"Hai smesso?", domandò lui.

Annuii, incerta.

Ci speravo.

Jason si alzò e mi porse un asciugamano ed uno spazzolino.

"Tranquilla, non è usato. L'ho appena scartato", mi fece l'occhiolino e uscì dal bagno lasciandomi finalmente sola.

Ma che stavo combinando?

SPAZIO AUTRICE

Jason è apparso!
Un applauso per colui che arriva sempre nel momento giusto (come Adrian, d'altronde) xD
E, come avrete capito, Lidya è rimasta a dormire a casa sua ;)

Sopra Jason :)

Nel capitolo di domani tornerà Adrian, tranquille :) <3

ROSA SELVATICADove le storie prendono vita. Scoprilo ora