Capitolo 48.

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Quattro anni dopo...

"Scusate! Permesso! Vi prego fatemi salire, devo andare a lavoro! Fate spazio!" alzai il tono della voce appena le porte del pullman si aprirono e notai la calca di persone. Il caldo era afoso e in quello spazio minuscolo non si poteva respirare. Riuscii ad appoggiare un piede sulla soglia del mezzo pubblico e toccai con la mano sinistra una signora, che si girò verso di me.
"Scusi può farsi più dentro per favore?" chiesi con gentilezza. La signora mi sorrise e fece come le avevo chiesto. Ricambiai il sorriso ed entrai. Appena il bus mise in moto, la signora si girò nuovamente verso di me: "ma tu sei Beatrix Watson?"

Io sbuffai e guardai il cielo. Mi era diventato impossibile stare per strada dopo il processo, tutti che mi riconoscevano e mi mostravano la loro compassione, me ne dicevano di tutti i colori.

Annuii con un finto sorriso e, come da copione, la signora sfoggiò il suo più costruito e compassionevole sorriso "Sarà molto dura per te immagino". Annuii ancora e sperai che la conversazione finisse lì. Così fu e ringraziai mentalmente il cielo.

Ero riuscita a sopravvivere quattro anni senza la mia famiglia, vivevo con i miei due fratelli e lavoravamo tutti e tre per mantenere la casa mia e di Luke. Fra pianti disperati, videochiamate con i signori Hemmings e la piccola Maradit siamo riusciti a superare quattro anni infernali.

Oggi Jackson, Calum, Ashton, Michael e Louis sarebbero usciti da prigione e non stavo più nella pelle. Avrei potuto anche far visita a Luke che sarebbe uscito un anno dopo. Aspettavo solo quel momento, vivere nuovamente nella nostra casa, la casa che conteneva pianti, risate, litigi, feste e sesso.

Con un sorriso ebete scesi dal pullman, sudata e i capelli gonfi. Mi aggiustai il borsone sulla spalla e scrutai la strada affollata di Los Angeles e i raggi del sole che si scontravano con la limpidezza dell'oceano dall'altra parte del muretto.

Non mi sarei mai stancata di quel panorama.

Camminai per una decina di minuti, sotto gli occhi attenti di tutti che guardavano ma cercavano in tutti i modi di non darlo a vedere. Ormai ero abituata agli occhi curiosi, lo sarei stata anche io dopo una storia del genere.

Arrivai fuori Starbucks e entrai dalle porte scorrevoli di vetro, accogliendo con felicità l'aria condizionata a palla. Sorrisi a Layla che si trovava dietro il bancone e la raggiunsi con pochi passi.

"Buongiorno fiore di Maggio!" mi salutò raggiante mentre riponeva delle monete nella casa, augurando cordialmente una buona giornata ad un ragazzo.

"Buongiorno Lay, come stai?" le chiesi poggiando i gomiti sul bancone verde bottiglia e rivolgendole un grande sorriso.

"Tutto bene, qualcuno ti ha dato altre noie stamattina?" mi chiese con un sorrisetto sghembo. Alzai gli occhi al cielo e con la mano le feci segno che ormai non importava. Rise di gusto e prese ordinazione del cliente.

Allungai lo sguardo alla cassa dopo quella di Layla e vidi ancora Carl fare il suo turno. Corrugai la fronte e lanciai un'occhiata all'orologio. Sbuffai e presi il borsone, andando nel retro del negozio.

"Sei in anticipo!" urlò Layla per farsi sentire.
"Lo so" urlai di rimando.

Entrai nella stanza riservata al personale e poggiai il borsone sulla panca, sedendomi affianco ad esso. Poggiai i gomiti sulle ginocchia e strofinai con due dita le tempie. Non dormivo molto e ogni mattina mi svegliavo con un'emicrania infernale, non aspettavo altro che avere tutti a casa e dormire serena al fianco del mio ragazzo.

"Buongiorno Beatrix" si aprì la porta rivelando il mio capo, con un sorriso disegnato sulle labbra rugose. Assunsi subito una posizione corretta e alzai gli angoli della bocca cercando di non rivelare il mio stato d'animo di quel momento.

Between || Luke H.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora