Capitolo 22

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Quando le cose brutte arrivano, arrivano all'improvviso, senza avvertire. È raro vedere che la catastrofe si avvicina. Non importa quanto ci prepariamo ad affrontarla. Facciamo del nostro meglio, ma a volte non è abbastanza.

Allacciamo le cinture, indossiamo il casco, scegliamo strade illuminate e cerchiamo di difenderci. Cerchiamo di proteggerci con tutte le forze, ma non fa alcuna differenza.

Perché quando le cose brutte arrivano sbucano dal nulla. Le cose brutte arrivano all'improvviso, senza avvertire. Quando il terreno cede e il proprio mondo crolla, forse si ha solo bisogno di avere fede e credere nel sopravvivere insieme a tutto questo. Forse si ha solo bisogno di reggersi forte. Di non lasciarla perdere, qualsiasi cosa succeda. Il dolore ti colpisce in tutte le sue forme: una fitta leggera, un po' di amarezza, un dolore che va e viene, la normale sofferenza con cui conviviamo tutti i giorni.

Poi c'è un tipo di sofferenza che non riesci ad ignorare. Una sofferenza così grande che cancella tutti gli altri pensieri, che fa scomparire il resto del mondo. E a un certo punto non riusciamo a pensare ad altro che alla nostra grande sofferenza.
Come affrontiamo il dolore dipende da noi. Per il dolore: ci anestetizziamo, lo accettiamo, lo elaboriamo, lo ignoriamo. E per alcuni di noi il miglior modo per affrontarlo è conviverci.

Il dolore, devi aspettare che se ne vada, sperare che scompaia da solo, sperare che la ferita che l'ha causato guarisca. Non ci sono soluzioni, né risposte facili. Bisogna fare un respiro profondo e aspettare che il dolore si nasconda da qualche parte.
La maggior parte delle volte il dolore può essere sopportato, ma a volte il dolore ti afferra; quando meno te lo aspetti ti colpisce sotto la cintura e non ti lascia in pace.
Il dolore, devi solo conviverci, perché la verità è che non puoi evitarlo e la vita te ne porta sempre dell'altro.

Dieci giorni, 240 ore e Dio solo sa quanti minuti, che sono qui, in ospedale. Dieci giorni in cui il mondo ha continuato a girare, senza sosta. Dieci giorni in cui il mondo ha continuato ad andare avanti. La sedia è dannatamente dura e il freddo invernale, si è insinuato nelle mie ossa.

Anne viene ogni giorno in ospedale, con la speranza di trovare il figlio con gli occhi sbarrati. Ma ogni volta che entra nella stanza e scopre che non è così, nel suo volto si imprime un'espressione di dolore, mista a una tristezza profonda, che solo una mamma può capire.

Io sono sempre rimasta qui, vigile e speranzosa. Un paio di volte sono andata a casa per concedermi una doccia rigenerante, ma niente di più. Oramai è diventata una routine, quella di sedermi in quella fredda sedia di ferro e aspettare, aspettare che accada qualcosa. Poi di tanto in tanto, entro nella sua stanza e gli parlo di quello che sta succedendo al di fuori dall'ospedale. Il dottore mi ha detto di parlargli in continuazione, per stimolarlo. Ma ogni volta che metto piede in quella camera d'ospedale, si forma un groppo alla gola che non mi permette nemmeno di respirare.

***
Un mese dopo.

Sono partita per lavoro tre settimane fa e ora sono di ritorno. Ho ragionato molto sul fatto di partire, ma Anne e la mia famiglia mi hanno invogliato ad andare, per non mandare a rotoli il mio lavoro. Ho chiamato ogni giorno l'ospedale, per sapere se ci fossero delle novità, anche se Anne mi ha promesso che mi avrebbe chiamato in caso di un ipotetico risveglio del mio ragazzo.

In queste tre settimane ho lavorato per la copertina di Vogue España, assieme agli altri angeli di Victoria's Secret e al fotografo Mario Testino, a St. Barths. Si è trattato di un nudo velato, un nudo affatto volgare, ma molto artistico.

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Una copertina a favore del femminismo e contro la distinzione delle razze

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Una copertina a favore del femminismo e contro la distinzione delle razze.

Fatto sta che sono appena tornata e già mi sto dirigendo in ospedale. Il clima di St. Barths era molto diverso, rispetto a quello di New York. Lì è costantemente caldo, mentre qui a NYC è perennemente freddo.
Mi stringo nella felpa Gucci, mettendo il piede nell'entrata del New York Presbyterian Hospital.

Immediatamente, respiro l'aria di medicinale, mista a quella di un detergente per pavimenti e anestetico

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Immediatamente, respiro l'aria di medicinale, mista a quella di un detergente per pavimenti e anestetico. Percorro il percorso, che so ormai a memoria, per la camera di Harry. Quando l'aereo ha atterrato all'aereoporto John F. Kennedy, un'ora fa all'incirca, ho ricevuto una chiamata telefonica da Anne, a cui non ho potuto rispondere perché ero intenta a recuperare le mie valige, tra l'ammasso di paparazzi e fans. Quindi la curiosità al riguardo è piuttosto elevata.

Faccio un sorriso timido, all'infermiera, Cora, che ormai conosco, perfettamente. Durante le notti che ho passato qui dentro, lei si è seduta accanto a me e mi ha fatto compagnia, parlandomi dei suoi figli.

Continuo a camminare trovandomi davanti nel corridoio, dai colori spenti, che sto iniziando ad odiare. Né Anne, né Gemma, sono sedute sulle solite scomode sedie. Aggrotto le sopracciglia, appoggiando la borsa con il contenitore in cui ho riposto la mia cena, sulla sedia. Passerò la notte qui, quindi mi sono organizzata con cibo e coperte.

Mi guardo attorno, voltandomi verso la camera del mio fidanzato. Noto la luce all'interno, accesa, più accecante e luminosa rispetto a quella che c'era prima. Precedentemente c'era solo una flebile luce, ad illuminare la stanza terribilmente tetra. E questo vuol dire solo una cosa. Deve essere successo qualcosa.

Sento il battito cardiaco sbattere contro le orecchie, mentre giro la maniglia della camera. Gemma e Anne sorridono piangendo. Due occhi verdi, come la giada mi guardano. La mano tatuata si solleva dal materasso lentamente e si tende verso di me.

Il mio amore è sveglio.

My new Boss 🥀 /h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora