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Per essere una mattinata di giugno non faceva caldo, anzi.
Era una perfetta giornata primaverile, con tanto di venticello fresco e costante.
Suonavo tranquillamente il mio violino sulla terrazza di casa, e sarebbe stato tutto veramente perfetto se una corda non avesse deciso di rompersi esattamente in quel momento.

Mentre sbuffavo per la seccatura di doverla cambiare, diedi un'occhiata al panorama della terrazza: qualche casa e il mare di Carrara si espandevano davanti ai miei occhi.

Il violino che avevo in mano era il primo che mi aveva regalato mio padre. Era la cosa più preziosa che avevo: non lo usavo quasi mai, soltanto quando mi sentivo parecchio giù di morale, come in quel momento.

Avendo fatto della musica la mia professione, di violini me ne intendevo parecchio e ne avevo di preziosi, ma quello rimaneva il mio preferito.

Entrai dentro casa, trovando il mio solito disordine e mi diressi verso il cassetto della scrivania dove tenevo il pacchetto delle corde per violino.
Lo trovai stranamente leggero, e infatti, lo aprii ed era vuoto.
Decisi di uscire a comprarle.

Dopo la morte di mio padre, che era ancora dolorosamente recente, mi ero rifiutata di entrare nel solito negozio di strumenti musicali: andarci era una cosa nostra da sempre, ed ora ad immaginare di entrarci senza di lui mi si riempivano gli occhi di lacrime.
Decisi di cambiare negozio.
Fortunatamente vicino casa mia, dove mi ero trasferita solo da qualche mese, ce n'era un altro.

Mi diedi un'occhiata veloce e decisi che dei jeans e una maglietta bianca andavano bene per uscire.
Uscii e mi chiusi la porta alle spalle.

In ascensore mi controllai di nuovo, stavolta allo specchio: i capelli
scuri e ondulati mi ricadevano sulle spalle come sempre.

Per strada c'erano giusto due o tre passanti quando presi il mio cellulare dalla tasca, srotolai le cuffiette che vi erano attaccate e me le infilai nelle orecchie.
Schiacciai play senza neppure guardare quale canzone sarebbe partita: sapevo che comunque sarebbe stata del mio cantante preferito, dell'unico che riusciva a farmi tornare il sorriso. E infatti, partí puntuale la voce di Francesco Gabbani che cantava "Eternamente ora", la mia canzone preferita.

Passeggiare per le strade della mia città, dopo tanto tempo di assenza, era fantastico.
Il mio impiego di violinista in un'orchestra importante prevedeva che fossi sempre pronta a viaggiare e ultimamente non avevo fatto altro.
Tra la morte di mio padre, i litigi con mia madre e il mio trasloco, il lavoro era in pratica una distrazione.

Arrivai davanti al negozio di musica che aveva un'insegna decisamente interessante, tolsi le cuffie ed entrai.
Feci un giretto e trovai la sezione dedicata agli archi.
Cercai tra i vari tipi di corde esposti, ma non trovai il tipo che cercavo.

"Le serve una mano?" Mi chiese un uomo sulla sessantina, sorridendo gentilmente.
Ricambiai il sorriso e risposi di si.

Un telefono squillò da dietro un bancone lì vicino. "Mi scusi, devo assolutamente rispondere: le mando mio figlio ad aiutarla"
Io annuii, lui si diresse verso il telefono e chiamò suo figlio urlando.

Continuai a curiosare nella sezione degli archi, osservando un violino particolarmente pregiato.
Dai passi dietro di me dedussi che il figlio dell'uomo doveva essere arrivato.
"Ciao, come posso aiutarti?"

Mi si fermó il cuore. Mi girai probabilmente un po' troppo di scatto, ma avevo riconosciuto la sua voce.
Davanti a me c'era il mio idolo. Se ne stava lì con una maglietta a righine bianche e rosse e il sorriso perfetto: avevo davanti Francesco Gabbani.

Il mio primo istinto fu quello di urlare, ma mi trattenni: non potevo certo lasciargli intendere che fossi pazza.

Il mio secondo istinto invece fu quello di abbracciarlo: ma sarebbe stato decisamente imbarazzante.

Probabilmente rimasi a pensare sul da farsi troppo a lungo visto che lui mi chiese: "Ti senti bene?"
"Si, certo, è solo che..." che cosa?! Che ti adoro?! Che amo la tua voce e le tue canzoni?! ...Che ho la galleria del cellulare piena di tue foto?!
"...che mi servirebbero delle corde di violino" conclusi.
Rimase a guardarmi con un'espressione dolce e interrogativa.
Forse pensò che non fosse molto comune che una ragazza si facesse prendere uno scompenso per delle corde di violino.

Tirai fuori dalla tasca la bustina che prima conteneva le corde e gliela mostrai.
Lui fece per prenderla e io feci per porgergliela.

Finimmo per sfiorarci le mani.

Solo tre parole: ormoni. a. palla.

Mi sorrise e studiò la bustina.
"Purtroppo queste non le abbiamo in negozio, però possiamo ordinarle dal magazzino...o trovare una marca simile"

"Preferirei ordinarle: mi servirebbe quel tipo in particolare" risposi io.
Magari tornando a prenderle lo avrei rivisto.

"Perfetto, te le ordino subito, vieni"

Lo seguii e si infilò dietro il bancone, lo stesso dove era squillato il telefono, con l'unica differenza che non c'era il padre.

Armeggiò con il computer mentre io lo osservavo e sentivo che le gambe stavano per cedermi tanta era l'emozione.

Volevo chiedergli una foto, o un autografo, ma come al solito mi vergognavo e mi odiai per questo.

Alzò lo sguardo dal computer. "Tutto fatto, mi servirebbe solo il nome ed un recapito telefonico"

"Ok, emm" STAVO PER DARE IL MIO NUMERO A GABBANI?!!

"Il nome è Camilla"
Forse avrei dovuto dargli il cognome? Pensai.

"Bel nome!" Commentò lui.
Lo ringraziai e gli diedi il mio numero di telefono.

"Bene. Ti chiamerò quando saranno arrivate."

Aveva usato la prima persona: voleva forse dire che mi avrebbe chiamato personalmente?
Mi morsi il labbro per non urlare.

"Perfetto, grazie mille" gli sorrisi e lui ricambiò.

"Ti accompagno all'uscita"

Mi fece strada verso l'uscita anche se sapevo benissimo dove fosse. Camminava con disinvoltura ed io notai che i jeans neri gli stavano da Dio.

La maglietta a maniche corte lasciava scoperti i bicipiti che fin troppe volte avevo studiato in foto.

Era perfino più bello dal vivo.

"Eccoci" disse, aprendomi la porta.

"Grazie mille ancora, e a presto" azzardai io.

Lui annuì ridacchiando. Il mio cuore saltò un battito.

Mi avviai verso casa e stranamente consapevole del mio corpo, sperai di non avere una camminata stupida.

Mi voltai per vedere se era ancora sulla porta.
Mi sentivo quasi come Orfeo che si girò per vedere la sua Euridice, ottenendo solo che questa tornasse negli inferi...
Era ancora lì e distolse lo sguardo non appena incrociò il mio.

Avevo appena incontrato l'unica persona che mi rendeva felice da anni e non avevo avuto il coraggio di dirglielo.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora