Arrivarono i caffè, e dallo scambio di chicchiere tra Fra e il cameriere dedussi che veniva qui spesso.
Lui mise due bustine di zucchero nel suo, io mezza nel mio.
Il caffè era davvero buono, ma non sapevo se lo fosse davvero o se era la compagnia di Francesco a renderlo tale.Squillò il suo telefono:
"Puoi scusarmi un momento?""Certo, fai pure!"
Fece scorrere il pollice sul cellulare e se lo portò all'orecchio : "Papá? Sono al bar. Ok, un minuto e arrivo"
Chiuse la chiamata e mi guardò.
"Era mio padre: devo andare a dare una mano in negozio...Mi ha fatto davvero piacere prendere questo caffè" disse, un po' esitante e con il suo solito sorriso.
Il sorriso di cui mi ero innamorata e continuavo a farlo ogni secondo di più.
Mi sentivo in sintonia con lui, anche se dal vivo lo avevo visto per poco tempo."Magari potremmo ripetere"
Buttai lì io, sperando con tutto il cuore che avrebbe accettato."Volentieri. Oggi però offro io"
E senza lasciarmi dire altro, lasciò i soldi al cassiere che lo saluto con un "namasté" subito ricambiato da un più che giusto "alé" da parte di Francesco.Mi fece una specie di inchino spiritoso, con tanto di gesto con il braccio, e poi mi salutò, lasciandomi un sorriso sulla faccia che non sarebbe scomparso per tutto il giorno.
Uscii dal bar, con il pacchetto di corde che pesava nella tasca dei jeans: decisi di spostarle nella piccola borsetta nera che mi ero portata dietro.
Salii in macchina, dove ad aspettarmi c'era ancora la custodia del violino.
Guardai l'ora sul telefono: erano già le cinque del pomeriggio.
Decisi di fermarmi a fare la spesa in un supermercato lì vicino.Non successe nulla di interessante, come credo sia prevedibile in un supermercato, però l'atmosfera mi sembrava più allegra: non era il solito via vai di gente che riempiva il proprio carrello mentre si perdeva tra i pensieri, sembrava che sorridessero di più.
Probabilmente vedevo le cose secondo il mio stato d'animo.
Più ripensavo a Francesco e più il mio stomaco faceva le capriole.
Uscii dal supermercato con un paio di buste e tornai a casa, dove trascorsi la serata guardando la televisione e ascoltando le canzoni di...esatto, di Francesco.
Prima di addormentarmi pensai a come e quando ci saremmo rivisti, se lo avremmo fatto, e a come ci saremmo sentiti visto che non avevo il suo numero.
Per fortuna, lui aveva il mio, pensai.
Chiusi gli occhi pensando a quanto fossi fortunata ad averlo incontrato e per la prima sera dopo tanto, troppo tempo non andai a dormire con un macigno di tristezza sul petto.
......
Mi svegliai di buon umore alle 7 e mezza. Era il 5 giugno, il che significava che il direttore di orchestra avrebbe deciso chi avrebbe suonato da solista nel prossimo concerto.Sapevo di avere qualche speranza, ma non ci speravo troppo: non volevo beccarmi un'altra delusione.
Feci colazione in terrazza con un caffellatte e qualche biscotto.
Per le 8:30 ero già all'Auditorium.
Il direttore d'orchestra, un uomo profondamente innamorato del suo mestiere, chiamò me e altri cinque violinisti chiedendoci di suonare il un pezzo del "Concerto per Violino e Orchestra n.1 op.6" di Paganini per decidere chi avrebbe ottenuto la parte da solista per quel brano.
Non sapevo perché avesse scelto proprio noi sei, ma ne ero entusiasta: ultimamente avevo lavorato sodo solo per avere un briciolo di possibilità in più.
Sia io che gli altri eravamo tutti seduti nel settore sinistro più vicino al direttore con gli spartiti posati sui nostri leggii.
Io ero seduta in seconda fila.
I primi tre che suonarono furono totatalmente eccezionali: ognuno diede un tocco personale al brano. Anche il quarto, un uomo sulla cinquantina, non era male però c'era qualcosa di monotono nell'esecuzione.
Poi toccó a me. Il cuore mi balzò in gola ma quando cominciai a suonare mi dimenticai di tutto: le mie dite scorrevano leggere sulle corde come i miei occhi sullo spartito.
Una volta finito, feci un respiro profondo e guardai il direttore: sembrava abbastanza soddisfatto.
L'ultimo eseguí il frammento di brano assegnato e il direttore disse che ci avrebbe comunicato in serata la sua scelta per il solista.
Seguirono le solite prove e ce ne andammo a casa.
Con la custodia del violino in una mano cercai il telefono nella borsa con l'altra.
Erano le 11:30, e sullo schermo era comparsa una notifica: un messaggio da un numero che non avevo salvato in rubrica.
"Buongiorno! Ti va una passeggiata sul lungomare?"
E poi, dopo qualche secondo:
"Approposito: sono Francesco. Ho preso il tuo numero dalla rubrica del negozio, spero non ti dispiaccia"Dispiacermi?! Pff. Ero. In. Estasi.
Dopo uno sclero silenzioso sbloccai il telefono per rispondere e cominciai a digitare sulla tastiera.
"Non mi dispiace affatto! Ottima idea la passeggiata sul lungomare, dove ci vediamo?"
Inviai il messaggio.
"Heyy con chi messaggi?"
Irene si avvicinò sbirciando furtivamente sullo schermo del mio cellulare."Non sarà mica un ragazzo che ci prova con te?!"
Disse e io sapevo che naturalmente aveva già letto tutta la chat.
Irene era la mia migliore amica e suonava il flauto traverso nella mia stessa orchestra."Mmm...forse" risposi facendo la misteriosa
"Daii, come si chiama?" Chiese sempre più curiosa.
"Francesco"
Alzò gli occhi al cielo.
"Ma allora sei in fissa con quelli che si chiamano Francesco!" dichiarò ridendo."Veramente è solo uno."
"Si come no, stai cercando di dirmi che ti vedi con Gabbani?!"
"Può essere..." fare la difficile era troppo divertente con lei.
"No, non ci credo! Finché non lo vedo non ci credo, ho deciso"
"Come vuoi, che fai a pranzo?"
"Nulla. Andiamo da te?"
"Perfetto" concordai.
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Come l'aria
Hayran KurguLei ha ventinove anni, una passione sfrenata per la musica e un vuoto nel cuore che potrebbe essere colmato da una sola persona. L'unico problema è che questa persona ancora non sa della sua esistenza. Tutto ha inizio in una mattinata dei primi di g...