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Uscii dal negozio di musica, lasciandomi alle spalle la voce di Francesco che spiegava ad un ragazzo la differenza tra vari plettri.

Salii in macchina, diretta verso casa: quando ero uscita, evidentemente molto sovrappensiero, avevo dimenticato cellulare e violino.

Salii in fretta le scale e aprii la porta, trovando sul cellulare le tredici chiamate di Irene.

Lo presi insieme al violino ed ero già fuori dalla porta quando, adocchiando un affarino azzurro sopra il mobile dell'ingresso, tornai dentro.

Era un pacchetto di gomme, così ne presi una, la infilai in bocca e di nuovo giù per le scale.

Mi sforzavo di fare un po' di attività fisica ogni giorno: le scale non erano granché ma erano un inizio.

Arrivai davanti all'Auditorium e camminai fino all'ingresso guardando le mie All Star calpestare il mattonellato.

Ero completamente persa nei miei pensieri quando andai a sbattere contro qualcosa.

Quel qualcosa, scoprii essere un qualcuno, e nello specifico Gabriel, un mio "alunno" del corso di musica.

"Scusi!" dissi, alzando lo sguardo ancora prima di realizzare chi avevo urtato.

"Non si preoccupi...oh, ciao!"
Disse lui.

Gabriel era davvero un bel ragazzo: la pelle olivastra, presa dalla madre araba, i capelli ramati del padre, e gli occhi di due colori diversi, un po' alla David Bowie.

Uno era verde e quasi nocciola intorno alla pupilla; l'altro marrone con qualche scheggia colore del miele.

Era il più grande nel mio corso: avevano quasi tutti dai dodici ai sedici anni, eccetto lui che aveva la mia età.

"Oh, ciao" lo salutai "Scusami: ero sovrappensiero"

"Tranquilla, non ti preoccupare. Come stai?" Chiese.

Eravamo diventati amici e anche un bel po': ma all'Auditorium era meglio che non si sapesse.

Si sarebbe potuto dire che all'esame finale avrei favoreggiato Gabriel, e nessuno dei due voleva che si pensasse questo, quindi ogni volta che ci incontravamo lì non eravamo proprio freddi, ma quasi.

E questa cosa scatenava una luce di furba complicità nei suoi occhi bicolore.

"Non c'è male, grazie. E tu?"

"Bene anche io"

Ci incamminammo insieme sulla strada che ancora ci separava dall'ingresso.

"Ciao!" Mi disse una voce vivace e femminile.

Mi voltai e vidi Clara che con i lunghi capelli biondi che ondeggiavano sulle spalle aveva affrettato il passo per raggiungerci.

"Ciao!" Salutai anche con la mano e Gabriel fece lo stesso.

Mi fermai affinché potesse raggiungerci.

Aveva quattordici anni ma sembrava più piccola.

Le sue espressioni sembravano riflesse anche dagli occhioni azzurri.

"A scuola abbiamo fatto il concerto d'orchestra!" Mi disse sorridente ancora prima di avermi raggiunto "Ho fatto un figurone! Tutto merito tuo!" Concluse.

E sorrisi gioiosamente anche io: la sua scuola aveva messo su una piccola orchestra per un solo concerto e lei mi aveva confessato di aver un po' paura di suonare davanti agli ipercritici compagni di scuola, così le avevo dato alcuni consigli su come interpretare il brano e altre cosette così.

Finalmente arrivammo nella nostra sala.
Poggiai il violino su una delle sedie disposte circolarmente.

Gli altri due fecero lo stesso.
Mentre aspettavamo gli altri, Clara corse alla lavagna attaccata alla parete di fondo e cominciò a trascrivere lo spartito del brano che stavano studiando.

"Lo sai a memoria?!" Le chiese Gabriel stupito, lei alzò le spalle:

"Dovresti saperlo anche tu"

"Touché" dissi alzando un sopracciglio.

Qualche minuto e arrivarono anche gli altri.

Michele per primo, un ragazzo di sedici anni biondo con gli occhi marroni, poi Paola, Raffaele, Flaminia e Caterina.

Tutti entrarono salutando e prendendo posto nel cerchio di sedie che si riempì finché non fu al completo.

Gabriel, alto molto ma molto più di me, sedeva vicino a Flaminia, la più piccolina del gruppo.

Clara si era accomodata accanto a me e provava silenziosamente le note della canzone.

Chiesi di accordare gli strumenti e il cerchio si animò di suoni.

Era sorprendete vedere come lo stile di ogni violinista fosse diverso, come se ne rispecchiasse il carattere.

Le note che suonava Clara per esempio, erano sempre vivaci; quelle di Gabriel un po' trascinate e quelle di Raffaele intrise di passione.

La lezione proseguì come al solito: a turno suonavano il brano del momento e nel mentre gli altri studiavano quello o un altro spartito oppure ascoltavano.

Dopo che ebbi corretto qualche errore qua e là, lo provarono tutti insieme e spiegai alcune tecniche assegnando esercizi.

Ogni volta era una soddisfazione sentirli suonare così bene e vedere i loro progressi passo passo.

Soprattutto per quelli come Michele, che era arrivato all'inizio dell'anno tutto timido e impacciato mentre adesso suonava da solista senza problemi, suonando il brano come se gli appartenesse.

Dopo le due ore di lezione, cominciarono a riporre le loro cose, mentre io gli facevo sentire come andavano eseguiti gli esercizi che avevo assegnato.

Clara sospirò ammirata: era la persona che più mi dava soddisfazione quando suonavo. Le rivolsi un sorriso raggiante.

Una volta uscita dall'Auditorium sentii i passi di Gabriel dietro di me e poi la sua mano sulla spalla.

"Hey" disse
"Hey"
"Cosa fai adesso?"
"Ancora non so, perché?"
Morivo dalla voglia di controllare il telefono per sapere se c'erano notizie di Francesco.

"Sto andando in spiaggia: mi hanno invitato ad una partita di Beach Volley e ci manca un giocatore...così pensavo che magari potevi venire anche tu"

Mi sembrava una prospettiva divertente, così accettai aggiungendo:
"Però non ho dietro il costume...devo passare da casa per prenderlo, va bene?"

"Perfetto, ti accompagno"
Non era una domanda e da una parte fui contenta che non lo fosse.

Prima di incontrare Francesco, ero parecchio interessata a Gabriel, ma ora...?

Mentre camminavamo verso le macchine osservai i suoi lineamenti: i tratti un po' spigolosi e gli zigomi leggermente pronunciati; la pelle bronzea risaltava l'occhio più chiaro. I capelli, più lunghi sopra la testa e via via più rasati ai lati, formavano riccioli morbidi.

Aveva un bel profilo, ma niente in confronto a quello di Francesco, su cui avevo passato l'indice la sera prima.

Si accorse che lo stavo guardando e si girò verso di me.

Anche se era la cosa più imbarazzante da fare, distolsi di corsa lo sguardo.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora