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Poggiò per un attimo la sua fronte sulla mia.

Notai solo a quel punto quanto fosse bella la giornata: il cielo era completamente limpido e l'aria non troppo calda, almeno per il momento.

Salutammo con un buongiorno e ordinammo due caffè, questa volta senza sederci.

"A che ora apri il negozio?"
"In realtà alle 9:30, ma prima devo fare l'inventario e riordinare: ho detto a mio padre che l'avrei fatto io al suo posto."

"Che bravo ragazzo" commentai.

Notai che non ci staccavamo gli occhi di dosso.
I suoi erano semplicemente magnetici, alla faccia di tutti quelli che dicono che gli occhi azzurri siano i più profondi, i più belli.

Vi sfido a guardare nei suoi e guardare, anzi vedere, le diverse sfumature di marrone che prendono vita dentro quei due occhi dal carico gravitazionale di un buco nero: vi sfido a dirmi, che dopo averli visti, li definirete ancora occhi soltanto "marroni".

Sono occhi color ambra, color mogano, onice...

Non avranno la profondità dell'oceano, ma quella della terra si.
Profondità di qualcosa che nemmeno l'oceano con tutta la sua forza può smuovere, di qualcosa che amorevolmente dà la vita ma se arida, la ostacola.
Ma anche il colore delle rocce ed il colore della cioccolata.

E semplicemente erano qualcosa di bellissimo, per me perfetto.

Mi resi conto che entrambi stavamo in silenzio da qualche secondo ormai.

Presi fiato distogliendo per un attimo lo sguardo.

"Ieri mi dicevi che hai ottenuto la parte da solista, ma non mi hai detto per quale brano" disse indicando la custodia del violino che avevo dietro.

Glielo dissi e alzò le sopracciglia ammirato.

Arrivarono i caffè e li bevemmo in fretta, dato che ormai si stava facendo tardi.

Questa volta pagai io il conto ed uscimmo.
Sfiorai le sue dita mentre passeggiavamo e mi chiesi se potessi prendergli la mano.

Ad un certo punto decisi di guardare l'orario, rendendomi conto che tra una cosa e l'altra si erano fatte le 8:20 e dovevo ancora arrivare all'Auditorium.

Imprecai nella mia testa.
"Santo cielo sono in ritardo" constatai poi ad alta voce.

Eravamo arrivati vicino alla mia macchina e mi accingevo a cercare le chiavi.

Mi diede un fugace bacio sulla guancia e mi augurò una buona giornata.
Feci altrettanto e stavo per fare il giro della macchina, ma a metà mi fermai. Guardai Francesco, la persona che avevo sempre voluto.
Tornai sui miei passi, gli presi il volto tra le mani e lo baciai delicatamente.

"Pensavo non avessi tempo.." disse sollevato mentre accennava un sorrisetto.

"Già, anche io. Ma non potevo rinunciare a questo"

Questa volta fu lui a baciarmi.

Purtroppo, subito dopo dovetti davvero scappare, promettendogli però che lo avrei chiamato dopo le prove.

Salii in macchina e cercai di resistere alla tentazione di schiacchiare l'accelleratore al massimo.
Dopo lo svenimento della sera precedente non mi sentivo molto sicura a fare la spericolata.
Arrivai all'Auditorium alle 8:35 senza pentirmi però del momento che avevo ritagliato con Francesco.

Presi il violino e la borsa, chiusi la macchina e volai verso la sala addibita per le nostre prove.

Trovai tutti già pronti con i propri strumenti, ma per fortuna il direttore ancora non c'era.

Corsi a sedermi sulla sedia sotto al palco del maestro d'orchestra: quella dedicata a chi aveva il ruolo da solista.

Lanciai un'occhiata ad Irene, che dall'altra parte dello schieramento, insieme agli altri flauti traversi, provava una melodia che non riuscivo a sentire.

Decisi di imitarli, ma dopo aver sistemato gli spartiti ecco comparire il maestro Pertini: alto, dai lineamenti duri ma il sorriso gentile; intorno agli occhi delle piccole rughe lasciavano intendere che sorridesse spesso.

Vestiva con l'immancabile camicia bianca infilata dentro i jeans; in mano la bacchetta da direttore.

"Buongiorno" disse, e in qualche modo le sue parole risuonarono per tutta la sala senza che le urlasse.

Aveva un portamento pieno di innata eleganza, sembra che il ruolo di direttore d'orchestra gli fosse stato cucito addosso.

Poco dopo tutta l'orchestra prese vita per accordare gli strumenti.

In breve mi trovavo al centro di una melodia fantastica, suonata all'unisono da tutti eccetto che da me. Quando venne il mio momento iniziai a suonare, instaurando come un dialogo tra il mio violino e tutti gli altri strumenti.

Fare da solista era tanto emozionante quanto impegnativo, il che lo rendeva praticamente una cosa perfetta per me.

Provammo diverse volte le prime arie e poi tempo volò: sembrava passato appena qualche minuto quando le prove finirono.

"Hai fatto tardi, ehh?" Mi disse Irene con sguardo ammiccante.

"Per un soffio non facevo tardi al mio primo giorno da solista"

"Ma ne è valsa la pena" disse. Le parole la facevano sembrare una domanda, il suo tono no.

"Assoluamente. Ora che fai?"
"Vado a casa di Tommaso: mi costringe a vedere il film di ieri sera" alzò gli occhi al cielo ed io mi chiesi se davvero le cose fra loro andassero bene come sosteneva "Tu che fai?" Chiese poi.

"Avevo promesso a Francesco che lo avrei chiamato, poi non so"

La salutai uscendo dall'Auitorium.
Mi girai a guardarla: se ne stava in mezzo all'atrio, in attesa di Tommaso, con le braccia conserte. Era davvero felice come mi lasciava credere?

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora