Una lapide di marmo recava incise le lettere che componevano la parola "Camilla" in un bel carattere corsivo.
Sotto c'erano delle parole di conforto, scavate nel marmo con talmente tanta naturalezza che sembrava fossero scritte su carta.Accanto alla tomba, un bambino siedeva su un'altra lapide con le gambe accavallate.
Osservava qualcosa, voltandosi alla sua sinistra.Sarebbe venuto da chiedergli cosa stesse osservando, ma sarebbe stato vano: non avrebbe risposto.
La sua, infatti, era una veglia marmorea ed eterna.
Il suo viso, sebbene scolpito nel marmo, sembrava potesse cambiare espressione in un battibaleno, ma non lo avrebbe fatto, così come, purtroppo, il suo corrispondente fatto di carne ed ossa.Ma parliamo ancora della prima lapide citata: portava il mio nome ma il cognome, fortunatamente, non era il mio.
Avrebbe potuto esserlo, c'ero andata davvero vicina e in quel momento mi sembrò una linea sottilissima quella che separava me e la mia omonima sepolta.
Io così viva, così presente, mano nella mano con Francesco...lei fredda, spenta, sola...
L'avevo scampata bella: un minuto di più senza soccorsi ed il primo arresto cardiaco sarebbe stato fatale.
Poi ne era seguito un altro e allora sì che il mio nome era stato a tanto così da essere inciso nel marmo.Mi avevano impiantato subito dopo un pace-maker, per tenere sotto controllo le aritmie.
Erano seguiti mesi difficili sia dal punto fisico che psicologico.
Per un po' avevo avuto l'impellente sensazione di non avere più tempo rimasto.Pian piano mi ero rimessa in sesto e gran parte del merito andava a Francesco ed Irene che avevano continuato a sopportarmi anche quando, me ne rendevo conto da sola, ero davvero sfiancante.
Avevo avuto la sensazione che entrambi fossero rimasti con me soltanto perché lasciare da solo qualcuno in quelle condizioni sarebbe stato crudele.
Pian piano, invece, a modo loro mi avevano convinto che non fosse affatto così."C'è mancato poco..." dissi, senza rivolgermi a qualcuno in particolare.
"Si, ma non è bastato a fermarti." Rispose Francesco accanto a me, capendo a cosa mi stessi riferendo.
Mi attirò a sè, dandomi un rassicurante bacio sulle labbra.
Eravamo nel cimitero acattolico di Roma, circondati da opere d'arte più che da lapidi, ed era passato un anno da quando ci eravamo conosciuti.
Mentre "soltanto" otto mesi dal mio arresto cardiaco.Erano cambiate parecchie cose e praticamente potevo dividere la mia vita in Pre-Francesco e Post-Francesco.
L'evento che avevamo organizzato per far suonare i Trikobalto nel bar mio e di Irene era stato un successone. O almeno stando a quel che mi raccontarono: io ero segregata in una stanza d'ospedale.
Il bar continuava ad andare bene e così i concerti con l'orchestra.
Il tempo per andare all'università era poco ma non avevo voluto rinunciare ad andarci.
La popolarità di Francesco era andata aumentando ed eravamo a Roma proprio perché lo avevano invitato ad un evento live.
Avevamo deciso di fare un giro da quelle parti ed eravamo finiti col visitare quel cimitero incantevole.
Eravamo ancora davanti alla lapide della mia omonima e più in là, sulla nostra destra, Irene stava ridendo a crepapelle per una battuta di Filippo, guadagnandosi occhiatacce da parte di tutti gli altri visitatori.
Durante l'inverno aveva finalmente lasciato Tommaso e lui aveva accettato di entrare in una clinica di riabilitazione: la sua dipendenza dall'alcool era diventata insostenibile.
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Come l'aria
FanfictionLei ha ventinove anni, una passione sfrenata per la musica e un vuoto nel cuore che potrebbe essere colmato da una sola persona. L'unico problema è che questa persona ancora non sa della sua esistenza. Tutto ha inizio in una mattinata dei primi di g...