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Chiamai Francesco e pazientemente ascoltai quella che sapevo essere una nota musicale ripetuta nell'attesa telefonica (un La).

"Pronto?"
"Hey ciao. Scusa se non ho risposto: stavo giocando a Beach Volley."

"Ma no figurati: non ti preoccupare. Comunque, sei ancora a Marina di Carrara?"

"Si si, perché?"

"Per caso..." dal tono con cui lo disse, capii che non si trattava affatto di un caso "..passavo da qui. Hai cinque minuti da dedicarmi?"

Avrei voluto rispondergli che avrei potuto dedicargli anche una vita, ma non lo feci.

Mi chiesi come facesse a sapere che ero a Marina di Carrara.

Mi limitai a rispondere con un "Certo, anche più di cinque"

Pensai ad Irene che se ne stava al bar sotto casa mia ad aspettarmi, domandandomi se non fossi un po' egoista.
E poi pensai all'invito che mi aveva fatto Gabriel, auto-confermandomi che sì, ero egoista.

"Allora ci vediamo alla gelateria di ieri, va bene?"

"Va bene" dissi

Chiamai in fretta e furia Irene.

"Irene!"

"Cam? Tutto ok?"

"Si si è tutto troppo ok: Francesco si trovava per caso qui a Marina di Carrara e mi ha chiesto di vederci e..."

"Ah-ah! Lo sapevo. Prima ha chiamato Filippo e quando lui gli ha detto che era con me, Francesco ha chiesto di te e gli ho detto dov'eri. (Non c'è di che, cara). In ogni caso, non ti preoccupare per me: sono ancora con Filippo, lo so che ti stavi facendo tremila pippe mentali credendo di lasciarmi sola."

Disse tutto d'un fiato: a volte parlava talmente veloce e senza l'apparente bisogno prendere aria che mi chiedevo se non fosse il caso di biasimare il flauto traverso.

Risi e le dissi:
"Perfetto. Sei la migliore."

Chiusi la telefonata e scesi dalla macchina, lasciando la borsa del mare nel portabagagli, assicurandomi però di avere il telefono nella tasca degli shorts.

Camminai fino alla gelateria, masticando una gomma americana che buttai al cestino poco prima di arrivare.

Quando lo vidi non potei fare a meno di sorridere con le gambe che cedevano: rivederlo era come incontrarlo di nuovo per la prima volta.

Aveva ancora la maglietta con i polli: quanto poteva essere adorabile?

"Ei" mi salutò, avvicinandosi.

"Ei ciao"

Non so come, riuscii a resistere alla tentazione di continuare dicendo 'come te la passi?! Tutto bene zio?!' citando il video della sua canzone I Dischi Non Si Suonano.

Adesso eravamo uno di fronte all'altra e ci fu un momento di imbarazzo: come dovevamo salutarci? Con un abbraccio? Un bacio sulla guancia?

Poi si decise e mi diede un bacio sulla guancia: dove le sue labbra mi sfiorarono fu come avere piccoli fuochi d'artificio sotto la pelle.

"Come mai da queste parti?" Chiesi.

Inspirò e mi guardò trattenendo il fiato qualche secondo.
Poi espirò e disse:
"Ok, d'accordo: Irene era con Filippo e mi ha detto che stavi giocando a Beach Volley..." abbassò lo sguardo "Eh niente: volevo vederti"

Era la dolcezza in persona: se ne stava lì impacciato e messo a nudo dopo la sua dolce confessione.

Lo abbracciai, cercando di comunicargli quello che stavo provando in quel momento.

Lui ricambiò l'abbraccio.

"Hai fatto bene a venire qui. Avevo voglia di vederti anche io."

Cosa facemmo dopo? Ci sedemmo su una panchina, tenendoci per mano e parlando del più e del meno.

Parlando adesso di sciocchezze adesso di cose profonde.
La sua compagnia era magnifica.

Quel Francesco che traspariva dalle canzoni era autentico: era un ragazzo di grande intelligenza, un osservatore, un poeta.

Notai quanto fosse curioso di tutto e come citasse di tanto in tanto qualche filosofo che aspettava soltanto di essere richiamato alla memoria.

Parlavamo proprio dei nostri filosofi preferiti, quando dissi:
"Mi sarebbe piaciuto moltissimo andare all'università e studiare Lettere e Filosofia...e magari scrivere un libro"

Non sapevo nemmeno cosa mi aveva spinto a dirlo.

"E cosa aspetti?" Chiese lui.

"Beh diciamo che sono un po' fuori corso...e poi non lo so: ho il lavoro con l'orchestra e il corso...Ho sempre pensato al violino come la mia unica professione, e..."

"Ti renderebbe felice?" Mi interruppe.
Una domanda semplice che non mi ponevo tanto spesso.

"Si" risposi senza esitare.
Mi avrebbe reso felice e senz'altro avrebbe aperto davanti a me altre possibilità.

"E allora fallo. La vita è breve, Cam." Adoravo quel soprannome, e in più, a sentirlo da lui... "Vivila come vuoi".

E allora lo baciai.
Perché così dal nulla?!Perché mi aveva fatto riflettere: se era morto mio padre non significava che dovessi morire anche io, per quanto fossi nella sua stessa situazione.

Mi stavo comportando come se avessi già un piede nella fossa e non era così.

'Carpe diem' pensai un po' teatralmente, approposito di filosofi.

Volevo vivere la vita.
Ed era anche con lui che volevo viverla.

Mi era scattato qualcosa dentro la testa: mi accorgevo solo in quel momento del blocco che mi ero creata da sola.

Dopo lo stupore iniziale, ricambiò il bacio con slancio.

Mi mise una mano sulla schiena e l'altra sul viso.
Io passavo le dita tra i suoi capelli corti ai lati della testa.

Baciarlo era come essere in paradiso e tutto il resto spariva con un puff.

Mi staccai dalle sue labbra solo per sfiorare con le mie pa linea della sua mascella, dandogli piccoli baci mentre con un dito ne segnavo il perimetro.

Mi fermai per guardarlo.
Lui mi diede un bacio sul collo, sotto l'orecchio.

Ne avrei voluti altri cento, altri mille.

E ci baciammo ancora.

Ci rendemmo conto che si era fatto buio.
Ed entrambi dovevamo tornare a casa, chi per un motivo chi per un altro.

Un ultimo bacio a stampo e ci salutammo con la promessa di sentirci l'indomani.

Salii in macchina, infilai decisa la chiave e partii verso casa.

Incontrai un po' di traffico ma in questo modo ebbi più tempo per pensare a quel che stavo per fare: avevo deciso che la mia vita sarebbe cambiata e lo avrebbe fatto, in un modo o nell'altro.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora