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Le prove filarono lisce ma io avevo la testa completamente altrove.

Sapevo che il direttore d'orchestra se n'era accorto, ma non fece niente se non rivolgeremi qualche sguardo eloquente.

Una volta finite, io e Irene volammo fino al locale del futuro bar dove trovammo Guido vestito esattamente come il giorno prima.

Sotto gli occhi aveva occhiaie pesanti tanto che vedere i piccoli capillari sotto la pelle.
Ci salutò con un cenno del capo e Irene ci disse che eravamo in attesa del suo avvocato.

"Il tuo avvocato?!"

"Giusto, il nostro avvocato" si corresse.

"Intendevo dire: hai, cioè, abbiamo, un avvocato?!"

Mi guardò come se fossi uscita di senno:
"Che domanda è? Ovvio che abbiamo un avvocato! Non possiamo mica firmare un contratto a caso! Prima di farti la proposta mi sono documentata su tutto quel che c'era da fare"

In effetti mi sentii un po' stupida per non averci pensato.

Dopo qualche minuto, una Bmw parcheggiò accanto a noi e scese un ragazzo davvero carino: capelli neri e occhi azzurri vestito con giacca e cravatta.
Dotato di sorriso attraende e passo deciso, sembrava praticamente uscito da una serie tv americana, di quelle sugli avvocati.

In mano aveva una ventiquattr'ore di pelle che gli dava un'aria ancor più professionale.

"Gian!" Disse Irene abbracciandolo.

Solo guardandolo di nuovo e più attentamente realizzai chi fosse: era Gianluca, il cugino della mia futura socia in affari.

Mi ricordai di quando, da piccoli, ci divertivamo a giocare insieme a calcio e a vedere le reazioni dei bambini quando realizzavano che a batterli erano state due femmine.

Mi guardò anche lui, con i suoi occhi azzurri identici a quelli di Irene, e nel momento esatto in cui mi riconobbe mi strinse in un abbraccio.

"Vogliamo parlare d'affari?" Disse poi, atteggiandosi ironicamente da persona seria.

Guido non aveva ancora aperto bocca: se ne stava appoggiato con una spalla contro il muro e giocava nervosamente con la manica della giacca di pelle.

"Tutto bene?" Gli chiesi, a bassa voce.
Lui tirò sù con il naso:
"Certo. Perché non dovrebbe?" Rispose velocemente e forse senza pensare, come se avesse inserito il pilota automatico.

Mormorai un 'ok' prima di seguire Irene e Gianluca dentro al locale vuoto.

Sul bancone da bar aspettava un plico di fogli che il giovane avvocato lesse attentamente.

Il vestito formale di Gianluca stonava con il vestiario punk e trasandato di Guido così come l'animo gioviale del primo cozzava con il fare nervoso dell'ultimo.

"Direi che qui non c'è niente che non vada. Potete tranquillamente firmare, anche se preferirei parlare con l'avvocato della controparte" si girò verso Guido, sistemandosi il ciuffo di capelli corvini con la mano.

Il proprietario del locale alzò la testa di scatto.
"Non ho un avvocato" disse con una smorfia, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo. "Il contratto l'ho scritto personalmente".

Il nostro avvocato alzò le sopracciglia, osservandolo con gli occhi di ghiaccio.

"Sono un avvocato. O almeno ho studiato per diventarlo." Continuò Guido.

Poi cominciarono a parlare di tutte quelle cose che, presumo, si dicono in genere quando si vende un locale e di cui, onestamente, non capisco un'acca.
Così staccai l'attenzione dal dialogo in corso e presi a guardarmi in giro.

"Camilla?" Mi richiamò Gianluca dopo un po'.

"Si?!"

"Dovresti firmare, sempre sei d'accordo"
Spiegò brevemente e in parole comprensibili ai comuni mortali i termini del contratto.

Presi la penna in mano, sentendone il peso tra le dita nello stesso modo in cui sentivo il peso della decisione nella mente.
Ne poggiai la punta sul foglio, tracciando le prime lettere del mio nome, disegnai l'arco verticale della C: da quel momemnto non si tornava più indietro.

Firmammo due copie del contratto: una rimaneva a noi, l'altra a Guido.

Gianluca ci salutò e strinse la mano al ragazzo che si accingeva ad andarsene con l'aria sollevata.

Io ed Irene ci battemmo il cinque non appena fummo sole.

"E adesso?" Chiesi con un sospiro.

"Adesso facciamo i lavori"

Ci mettemmo a discutere su come sarebbe dovuto apparire il nostro bar una volta terminato: avevamo le idee abbastanza chiare e stranamente, affatto contrastanti.

"Quel rialzo in muratura sarà il palco per la musica live"
"Certo. Quel bancone secondo me potremmo anche eliminarlo: non abbiamo grandi mezzi per fare i lavori, ma quel coso è davvero osceno"

Ci facemmo più o meno un'idea di come lo volevamo e concordammo che per prima cosa avremmo dovuto riverniciare le pareti e rifare i pavimenti.

Montai in sella alla mia moto e seguita dall'auto di Irene mi diressi verso il primo negozio di Fai-da-Te che conoscevo.

"Posso aiutarvi?" Chiese una commessa dalla voce melensa, una volta che fummo dentro.

"In effetti sì: dove possiamo trovare della vernice per pareti?" Chiese la mia amica.

Con l'indice adornato di un anello dall'aspetto davvero molto costoso ci indicò una corsia sulla destra, senza dire più una parola.

Guardammo gli scaffali che ospitavano i vari secchi di vernice.

Ce n'erano di tutti i colori: dai più semplici ai più strambi e mi chiesi chi mai potrebbe voler verniciare una parete di un colore come il verde fluorescente.

Irene additò un rosso bordeaux molto interessante e per un attimo ci guardammo: senza bisogno di parlare prendemmo due secchi di vernice per uno.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora