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"Tu che fai? Se vuoi puoi rimanere qui" dissi ad Irene.

"Non ti preoccupare, vado a casa: devo sistemare parecchie cose." Prese la custodia del suo flauto traverso, la borsa e il cellulare e infilò la porta.

Uscii di casa con la borsa dal manico lungo che mi ricadeva sulla spalla.

Prendemmo l'ascensore insieme, specchiandoci e facendo facce buffe come al solito.

Potevamo essere cresciute fisicamente, ma quando stavamo insieme molto probabilmente la nostra età mentale regrediva fino ai cinque anni.

"Ti accompagno fino all'Auditorium, ho ancora tempo"

Salimmo nella mia macchina e come prima cosa accendemmo la radio.

"No. So cosa stai pensando. Niente Magellano."
Ormai mi conosceva troppo bene: volevo mettere, ovviamente, l'ultimo CD di Gabbani, ma a quanto pare non ne poteva più per quante volte glielo avevo fatto ascoltare.
Sapeva tutte le canzoni a memoria, quindi decisi di graziarla e lasciare la radio normale: tanto presto o tardi avrebbero certamente messo Tra le granite e le granate, data la frequenza con cui mi capitava di sentirla ultimamente.

Cantammo Despacito a squarciagola, incuranti degli sguardi degli altri automibilisti.
Non piaceva a nessuna delle due, ma cantare canzoni a caso faceva parte dei nostri rituali.

Arrivammo all'auditorium in nemmeno cinque minuti.

"Mi raccomando, divertiti. Te lo meriti" mi disse, improvvisamente seria, dandomi un veloce abbraccio prima di scendere dall'auto.

Quel "te lo meriti" mi fece salire un groppo in gola, come a ricordarmi di quel che avevo passato.

"Ti voglio bene!" Le gridai dietro.
"Anche ioo!"

Tolsi il freno a mano e partii di nuovo, adesso alla volta del negozio di musica.

Continuai ad ascoltare la radio mentre aspettavo che i semafori rossi si trasformassero in verdi.

Parcheggiai non lontano dal negozio e chiusi la macchina.

Guardai il cellulare: erano le 16:28, ero in perfetto orario.

Mi diedi un'altra occhiata: non mi era mai importato nulla del mio aspetto, ma ad esso tutto d'un tratto mi interessava.

"Non ti preoccupare, stai benissimo"

Alzai subito lo sguardo e mi ritrovai davanti Francesco: una camicia bianca esaltava la leggera abbronzatura dorata, e sotto i pantaloni neri aveva ai piedi un paio di Stan Smith bianche e immacolate.
Era davvero irresistibile.
Anche se il mio parere non era poi così rilevante visto che lo trovavo attraente anche vestito da scimmia. Letteralmente.

"Ei...anche tu non scherzi: sei fantastico"

"Nooo non ci posso credere! Non stavi scherzando!"
Per poco non mi prese un infarto: Irene mi era spuntata alle spalle gridando.

Francesco rimase giustamente interdetto.
Mi voltai verso la mia migliore amica, fulminandola per avermi fatto prendere lo spavento.

"Mi hai seguito?!" Le chiesi fingendomi arrabbiata anche se sinceramente più che altro mi veniva da ridere.

"Esatto, non ti sei nemmeno accorta della mia macchina parcheggiata dietro la tua. Piacere, sono Irene" disse poi, allungando la mano verso Francesco che prontamente la strinse, presentandosi a sua volta.

"Io vi lascio allora, buon divertimento. Francesco è stato un piacere conoscerti." Poi si rivolse a me "Gabbanina, noi ci sentiamo dopo"
Disse, dandomi un bacetto sulla guancia.

Mi chiamava sempre Gabbanina ma speravo non lo avrebbe fatto proprio davanti a Gabbani.

Credo di essere sbiancata dopo aver mormorato un "Ciao" perché Francesco disse:
"Beh, a me non dispiace come soprannome"
Mi fece l'occhiolino. Sentivo le guance in fiamme.

Mi guidò fino alla sua 500L gialla e poi da vero gentiluomo mi aprí la portiera.

Salii a bordo sorridendogli.
Chiuse la portiera dal lato del passeggero e lui salì dall'altro.

Mise in moto e partì.
Osservai le sue mani sul volante: tamburellavano il ritmo di non so bene cosa.

"Come è andata la tua giornata?" Chiese.

"Alla grande: il direttore di orchestra mi ha affidato la parte da solista"

"Fantastico! Scommetto che te lo meriti tutto..."

"A te invece com'è andata?"

"Beh, fino a.." guardò l'orologio "dieci minuti fa, niente di speciale. Poi ti ho visto"

Arrossii. Decisamente.

"Se la metti così, anche il resto della mia giornata è stato totalmente inferiore a questo momento"

Arrivammo sul lungo mare di Marina di Carrara.
Sembrava tutto estremamente perfetto.
Il mare non era né calmo né agitato.

C'era un bel vento che portava con sè l'odore della salsedine e mi scompigliava leggermente i capelli.

Cominciammo a camminare fianco a fianco, studiando tacitamente le movenze dell'altro.

Ad un certo punto le nostre dita si sfiorarono.
Cercai di ignorare le farfalle nello stomaco e mi concentrai su quel piccolo piacevole contatto.

Poi successe di nuovo, stavolta entrambi indugiammo un po'.

Decisi di azzardare una mossa e intrecciai le mie dita alle sue, tendolo per mano.

Fece scorrere lo sguardo sulle nostre mani e poi lo allacciò al mio.

"Hai delle belle mani" commenatii, un po' in imbarazzo per la mia mossa avventata.

"Mm. Mi piacciono solo quando intrecciate alle tue"

Dio se ti amo, pensai.
L'imbarazzo iniziale era svanito tanto in fretta quanto era arrivato.
Adesso mi sentivo a mio agio mano nella mano, con quella sua stretta forte, eppure in un certo modo delicata.

La camicia gli stava d'incanto: le maniche, arrotolate quasi fino al gomito, tiravano sui bicipiti e sul petto, lasciando intravedere la loro fisionomia.
La loro perfetta fisionomia, se volete il mio modesto parere.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora