Il direttore mi prese da una parte una volta finite le prove e mi disse:
"Complimenti, complimenti davvero. Mi piace questa vibrazione positiva che metti nel suonare questo brano. Continua così"
Gesticolava sempre tantissimo, credo per via del suo lavoro.
Quando si parlava di musica, cioè praticamente sempre date le nostre occupazioni, aveva gli occhi trasognati di chi ama qualcosa e sul volto gli si dipingeva qualcosa che assomigliava molto alla pura felicità.Era sempre molto gentile anche se qualche volta era capitato che perdesse le staffe con chi non dava il 100% nelle prove d'orchestra: aveva un'etica del lavoro senza pari.
"La ringrazio infinitamente direttore, mi fa molto piacere sentirmelo dire"
Mi rivolse un sorriso e mi salutò con una salda stretta di mano, sparendo in giro per l'Auditorium: non mancava molto al nostro concerto e aveva parecchio da fare, dedussi.
Prima di dileguarsi rivolse un sorriso ed un leggero inchino con la testa ad Irene che mi stava raggiungendo, seguita a ruota da Tommaso.
Lui aveva in una mano la tromba, che rifletteva la luce degli alti finestroni dell'atrio, nell'altra la rispettiva custodia nera ancora aperta che sbatacchiava di qua e di là a ritmo con il suo passo svelto.
I capelli ricci e biondi gli ricadevano ondeggianti sulle spalle; gli occhi azzurri, contornati di blu scuro lampeggiavano rabbiosi.
"Aspettami!" disse ad Irene cercando di avere un tono autoritario che però risultò solo leggermente velato di disperazione.
Lei si bloccò di scatto, irrigidendo le spalle e drizzando la testa prima di girarsi furente verso di lui.
Per un momento credetti che volesse dargli il flauto traverso in testa.
Lui non rallentò il passo fino a che non si trovò di fronte a lei: nonostante fosse più alto e non di poco, Irene compensava la differenza di statura con il carattere.
"Cosa vuoi?" La sua voce era gelida e atona: sembrava un'automa, il che, avevo maturato nel corso degli anni, non era mai una cosa positiva.
Era una persona che in genere si lasciava trasportare dai sentimenti, di qualunque tipo essi fossero, e quando si dimostrava gelida...beh, molto probabilmente avevi chiuso con lei.
"Non voglio impedirti di vedere quel tizio..."
Lei alzò una mano per interromperlo:
"È diverso, non puoi impedirmi proprio nulla"Tommaso annuì facendo un gesto liquidatorio con la tromba ancora in mano.
"Ok...il fatto è che io non voglio perderti ma tu mi sembri sempre più distante"
Irene fece un sospiro e parve sciogliersi un po'.
"Senti, tra me e Filippo non c'è nulla. Ho solo bisogno di un po' di tempo per me, va bene?!" Sì passò una mano sulla fronte senza guardarlo negli occhi e mi chiesi se stesse mentendo.
"Come vuoi...dopo mi chiamerai?" Chiese lui senza più traccia di autorità nella voce ma soltanto un'innocente speraza.
"Va bene" concesse lei prima di voltarsi e venire da me.
Camminava decisa, con lo sguardo rivolto al pavimento.
"Ciao"
"Ciao, ancora siete in lite?"
Mi rivolse uno sguardo di fuoco, cosa incredibile per una dagli occhi di ghiaccio, e senza rispondere lasció cadere l'argomento.
"Tu come stai?"
"Non mi sento proprio un granché" risposi "ho qualche doloretto".
"Mmm...dovresti stare alla grande visto che l'hai fatto con il tuo idolo."
Ridemmo entrambe e poi dissi:
"Irene! Almeno abbassa la voce!"Intanto eravamo arrivate alla macchina.
"Dovrei fare un po' di spesa, mi accompagni?"
"D'accordo"
In macchina, mentre lei guidava io controllavo le ultime notifiche sul cellulare.
Aprii la chat di Francesco su Whatsapp: mi aveva mandato un'immagine, con un cuoricino come descrizione.La scaricai e mi apparì il suo volto sorridente in primo piano, con la mano accostata al viso ed il pollice alzato e dietro di lui suo fratello Filippo, Cipo il chitarrista e Giacomo, il bassista, nonché "il biondo" della band.
"Guarda qua" dissi ad Irene, una volta ferme al primo semaforo, mostrandole la foto.
"Che carini!"
"Guarda quanto è bello Francesco! Come fai a dire il contrario?!"
"Beh, andiamo, guardali! Filippo è più bello, lo dice anche Francesco."
"Lo dice solo perché non si rende conto!"
Scosse la testa ridendo: nessuna delle due avrebbe cambiato idea, ovviamente.
Quando ebbe parcheggiato la costrinsi a farsi un selfie con me per mandarlo a Francesco.
Ci fermammo al solito supermercato vicino a casa dei genitori di Irene.
Quando eravamo in fila per la cassa, con dietro una donna anziana che scuoteva la testa guardando i capelli dalle punte blu della mia amica, suonò un telefono.
Era quello di Irene: aveva la suoneria preimpostata nonostante avessi provato diverse volte a fargliela cambiare.
Era sua mamma che la chiamava per sapere se sarebbe andata a pranzo, e quando lei gli disse che era con me, dal telefono si levò un saluto talmente forte che Irene chiuse gli occhi per lo spavento.
Risi e ricambiai il saluto, accettando l'invito a pranzo che ne era seguito.
Una volta uscite, e dopo esserci lasciate alle spalle la vecchietta bacchettona, mettemmo le buste in macchina e andammo a piedi a casa di Irene.
Quando entrai in casa, Paola, la mamma di Irene, mi abbracciò forte e io ricambiai con lo stesso slancio.
"Fatti guardare! Stai benissimo" disse, allontanandosi un pochino per osservarmi e poi stringermi di nuovo.
Mi salutò calorosamente anche Franco, il padre, che mi disse che era a casa solo per pranzo e poi sarebbe dovuto tornare a lavoro.
Era un uomo simpatico, bassetto, dal volto gentile e sempre sorridente: era un grande amico di mio padre e dopo la sua morte, era rimasto molto scosso.
Paola invece era più alta del marito e più in carne, anche se non è quella la descrizione esatta: quei chiletti in più le donavano tanto che avrei giurato che quello fosse il suo peso ideale.
Anche lei aveva un viso gentile sempre pronto a rivolgermi un sorriso e allo stesso tempo a rimproverare me e sua figlia se facevamo qualcosa di sbagliato.
Era rimasta scioccata da come si erano messe le cose con mia madre dopo la morte di papà e spesso mi ricordava che per qualsiasi cosa, avevo una seconda mamma pronta a prendersi cura di me.Ed in effetti per me era davvero come una seconda mamma; tutti loro erano sempre stati per me una seconda famiglia.
Adoravo l'arredamento della loro casa: non era antico né nuovo, era qualcosa di rustico.
Dalla cucina proveniva un odore eccezionale che mi fece tornare alla mente ricordi della mia infanzia che non rispolveravo da tempo.
"È pollo con i peperoni?"
Paola annuì sorridente, intimandoci di andare a lavarci le mani visto che entro cinque minuti ci avrebbe chiamato a tavola.
Mi resi conto che lì mi sentivo più a casa che nel mio stesso appartamento.
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Come l'aria
FanfictionLei ha ventinove anni, una passione sfrenata per la musica e un vuoto nel cuore che potrebbe essere colmato da una sola persona. L'unico problema è che questa persona ancora non sa della sua esistenza. Tutto ha inizio in una mattinata dei primi di g...