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Mangiammo seduti in terrazza, sotto il fidato gazebo bianco.
"Avevi ragione: è davvero ottima"

"Grazie! I genitori di Irene sono di Roma e lei mi ha insegnato qualche trucchetto del luogo"

"Sai, devo ammettere che ieri dopo averli visti, ho pensato che Filippo e Irene starebbero bene insieme...voglio dire: so che sono entrambi fidanzati eccetera, però..." lasciò la frase in sospeso, sottintendeandone il resto.

"Pensavo di essere l'unica ad averlo notato. Secondo me qualcosina potrebbe succedere tra loro"

Mise la mano sopra la mia tamburellando con le dita di tanto in tanto.

Lo guardai mentre arrotolava la pasta lunga intorno alla forchetta: l'espressione lievemente concentrata, le labbra rilassate.
Avrei potuto guardarlo all'infinito senza stufarmi mai.
Si accorse che lo stavo osservando e alzò lo sguardo verso di me: anziché distogliere il mio, come avevo fatto con Gabriel, lo allacciai al suo.
Non mi vergognavo di lui, sentivo che avrei potuto essere me stessa senza essere giudicata.

Dopo mangiato ci buttammo sul divano a guardare un po' di televisione.

Fra se ne stava con le gambe incrociate e un braccio sulle mie spalle.
Dopo un po' poggiai la testa sulla sua spalla e mi accorsi che questa volta a guardarmi era lui e gli sorrisi.

Avvicinò piano le labbra alle mie e quando si furono toccate io gli poggiai una mano sul petto, sentendo i pettorali delinearsi sotto la maglietta.

Ci separammo e lui fece scorrere lo sguardo sul salotto illuminato dalla luce ormai pomeridiana.

Vidi gli occhi fermarsi su qualcosa così seguii il suo sguardo.

"Sai giocare a scacchi?"
Chiese e capii che aveva adocchiato la scacchiera lasciata sopra il mobile.

Annuii continuando a guardarlo.

"Ti prego, mi insegni?" Fece gli occhi da cucciolo e non seppi resistergli (come se senza gli ultimi avrei potuto dirgli di no...).

E così ci sedemmo di nuovo in terrazza, uno di fronte all'altra con in mezzo la scacchiera bianca a nera.

Lui giocava con i bianchi, io con i neri.

Cominciai a spiegare:
"I pedoni si muovono solo di un quadratino, eccetto quando fanno la prima mossa, dove possono muoversi di due. Mangiano solo in diagonale."

Annuiva, concentrato sulla spiegazione.
Poi spiegai il modo di muoversi degli altri pezzi: prima la Torre, poi il Cavallo, l'Alfiere, il Re e infine la Regina.

Cominciammo a giocare e fu come gareggiare contro me stessa visto che continuavo a dargli consigli.

"Dai, per essere la prima volta non stai andando affatto male" lo incitai.

Lui fece il broncio:
"Mmm... disse lei dopo avermi mangiato anche la Camilla"

Ci misi un attimo a capire che si riferiva alla Regina della scacchiera che gli avevo appena catturato.

Sorrisi raggiante con le guance in fiamme e lo stomaco in subbuglio: altro che farfalle, pareva ci si fosse trasferito uno zoo intero.
"Non ti preoccupare: finché il Francesco non è sotto scacco matto il gioco continua"

Adesso ero io a riferirmi al Re, il pezzo fondamentale, chiamandolo Francesco.
In effetti, in fondo, lui era uno dei pezzi fondamentali sulla scacchiera della mia vita.

Vinsi la prima partita e continuammo a giocare fino a che non cominciò a fare buio.

"Ti va di restare per cena?" Gli chiesi verso le 19:30, quando ci stavamo alzando.

"Mi farebbe molto piacere" rispose sorridente.

"Potremmo ordinare le pizze, se ti va.."

"Perfetto"

Trovai il numero della pizzeria e tra qualche bacio e un paio di battute riuscimmo a concordare l'ordinazione.

Non ci misero molto ad arrivare, anzi.

Una volta apparecchiato (indovinate dove?) ci sedemmo in terrazza con le pizze ed i supplì davanti.

"Qual è il tuo piatto preferito?" Chiesi dal nulla.

"Fettuccine con i funghi, in assoluto" rispose senza esitare. "Il tuo?"

"A dirla tutta, non ne ho uno. Mi piace praticamente tutto eccetto l'insalata" rabbrividii "la odio."

Ridacchiò.
Cominciammo a mangiare: io la mia classica pizza Margherita e lui una Boscaiola.

Avevamo appena finito quando saltò la corrente.

Nella mia mente imprecai in modo abbastanza colorito ma ad alta voce mi limitai a pronunciare un "Grandioso!" carico d'ironia.

"Fa niente: si può rimediare. Dov'è l'interruttore generale?"

Lo condussi vicino alla porta d'ingresso, dove c'era il quadro elettrico: provai ad alzare l'interruttore generale.

Niente. Ma proprio niente di niente, se non lo scatto dell'interruttore stesso.

"Hai una torcia, apparte quella del telefono?"

"No...al massimo ho delle candele"

"Credo converrà accenderle"

Mi porse l'accendino che teneva in tasca e solo in quel momento mi resi conto che non aveva fumato per niente e glielo feci notare.

Fece spallucce:
"Merito tuo" disse e con l'indice sotto al mio mento, mi lasciò un bacio sulle labbra.

"Vediamo se è saltata anche dagli altri" aprì la porta di casa ma oltre di essa c'era soltanto buio più fitto.

"Il palazzo è tutto buio." Poi andò ad affacciarsi in terrazza: annunciando che gli altri palazzi erano apposto.

Intanto io avevo acceso tutte le candele che avevo sparse per casa.
"Sono cianfrusaglie inutili" diceva Irene quando mi capitava di comprarne una, e pensai che glielo avrei rinfacciato al più presto.

Passammo qualche minuto al buio, fissando i nostri visi illuminati dalle luci tremanti delle candele.

Poi si udì un altro scatto ed entrambi andammo a controllare il quadro elettrico.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora