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Dentro casa mia c'era un bel po' di confusione.

Le luci accese praticamente in tutte le stanze, l'acqua di un rubinetto che scorreva.

Aprii gli occhi dopo quella che mi sembrava un'eternitá, ma sapevo essere un quarto d'ora al massimo. Mi sentivo frastornata e un po' indolenzita.

Richiusi gli occhi davanti alle luci troppo forti.

Ripercorsi mentalmente le ultime cose che ricordavo: Francesco, i suoi baci, la buonanotte, uno svenimento.

Avevo chiamato Irene, senza ombra di dubbio.

Mi accorsi che le mie gambe erano sollevate e aprii di nuovo gli occhi, a reggerle c'era... il mio cardiologo.

"Ei, sei tornata"
Mi disse Irene, seduta accanto a me, accorgendosi che avevo ripreso conoscenza.
Mi porse un bicchier d'acqua che bevvi immediatamente.

"Eh già" le dissi prendendole la mano "Buonasera dottor Forti, non c'era bisogno che si disturbasse a venire a quest'ora..." ero un po' in imbarazzo, devo ammetterlo.

Mi sorrise scuotendo la testa, come a voler dire 'nessun disturbo'.

Era abbastanza giovane, ma già tra i capelli castani si facevano strada striature di grigio.

"Cos'è stato a farla svenire stavolta?" Chiese Irene che ormai aveva fatto l'abitudine ai miei svenimenti: per un periodo aveva perfino cominciato a chiamarmi Dantessa (una versione femminile e decisamente ironica del nome Dante) dicendo che svenivo tante volte quante il poeta nella Divina Commedia.

"Il solito: la gittata cardiaca è diminuita di colpo, facendo si che il cervello fosse poco irrorato."

"Ho avuto anche un dolore al petto.." aggiunsi.

Si fece pensieroso, poi disse che non era molto comune, ma comunque nella norma, per un caso come il mio.

"Come ti sei sentita oggi? Stanca? Affaticata?"

Ci pensai un po', e a pervadermi la mente arrivò puntuale il sorriso di Francesco.

"Un po' affaticata ogni tanto, ma è di routine"

"D'accordo. Direi che sarebbe ora di ripetere qualche esame: nulla di grave, tanquilla, giusto per controllo." Si guardò l'orologio da polso e continuò: "Ora vado. Tu non muoverti per un'altra ventina di minuti, poi dritta a letto a dormire"

Appoggiò le mie gambe su una pila di cuscini, e poi disse ad Irene di non scomodarsi perché conosceva già l'uscita.

"Grazie"
"E di cosa?! Sono qui per questo" disse l'uomo. Notai che era la prima volta che lo vedevo senza una giacca e una cravatta indosso. Mi chiesi cosa lo aspettava a casa.

Rimasi sola con Irene.
Evitai di guardarla negli occhi per paura di scorgere quel guizzo di pietà che così spesso avevo visto nelle persone.
Non volevo che mi compatissero, che stessero male per me.

Volevo che tutti mi trattassero normalmente e per questo fuggivo dal rivelare il mio problema.

Le uniche a conoscenza di questo fatto erano Irene e mia madre. Non che con la seconda ci parlassi ancora.

Era inevitabile in questi casi pensare a mio padre:
al fatto che eravamo uguali, in tutto e per tutto.

"Non ci pensare" mi intimò la mia migliore amica, indovinando i miei pensieri "Col cavolo che farai la stessa fine" disse.

"Approposito, parliamo di cose piacevoli: raccontami tutto di Francesco"

Le dissi di com'era gentile, degli sguardi che ci eravamo scambiati e dei baci. Di come rideva e di come mi stringeva la mano.

Lei annuì per tutto il racconto, facendo gridolini di sorpresa nei punti giusti.

"Vi rivedrete?" Chiese con la sua solita faccia molesta che lasciava presagire che ti stesse già organizzando il matrimonio.

"Certo" dissi, citando le parole di Francesco.

Poi mi ricordai di aver di averlo chiamato per sbaglio prima di svenire.

Lo dissi ad Irene.

"Ha richiamato altre dieci volte" disse con il tono di chi deve dare brutte notizie ad un bambino.

"Dimmi che non gli hai detto cosa stava succedendo, ti prego"

Non volevo che mi vedesse con altri occhi. C'ero già passata da quel punto e sapevo che era abbastanza impossibile venire a conoscenza della mia condizione senza lanciarmi occhiate preoccupate in qualsiasi situazione vagamente stressante.

"Non voglio che pensi che la mia morte potrebbe incombere da un momento all'altro. Non ho intenzione di vedere quel genere di preoccupazione nei suoi occhi. Sto già abbastanza male a vederla nei tuoi"

"No, no: ormai ti conosco troppo bene e non gli ho detto nulla. Però sei perfettamente consapevole che quella evenienza non è proprio fantascientifica. Secondo me dovresti dirglielo."

Scossi la testa, di colpo mi investì la stanchezza.
"Grazie. Cosa gli hai detto?"
"Che ti era partita la chiamata e poi ti é caduto il cellulare e l'ho trovato io, lo so che non ha senso e non è credibile ma io ero nel panico, e anche lui. Spero se la sia bevuta."
Prese aria: aveva detto tutto senza riprendere fiato. "Dai su, ti accompagno a letto."

Mi aiutò ad alzarmi, senza mettermi fretta.

Le misi un braccio intorno al spalle.

Arrivammo nella camera da letto che aveva già la luce accesa e il lenzuolo con un angolo tirato giù.

Mi misi il pigiama e mi infilai nel letto.
"Resti con me?"
"Certo, che domande"
Sentii le lacrime che premevano per uscire difronte alla premurositá di Irene.

"Che facevi quando ti ho chiamato?"
"Nulla di interessante." Disse, sicuramente per non farmi sentire in colpa. La guardai in modo eloquente e proseguì:
"Sul serio! Mi hai salvato: Tom stava per costringermi a guardare film noiosissimo"

Frugò in un cassetto e prese un altro mio pigiama, anche se le stava grande lo infilò e si mise nel letto accanto a me.

"Grazie davvero Ire. Di tutto"

"Non fare la stupida. Lo sai che per te ci sono sempre"

Mi diede un bacetto sulla guancia ed io sprofondai in un sonno senza sogni.

Come l'ariaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora