4. Diego Guevara

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Rabbia

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Rabbia. Colei celebre per essere messa in rilievo da ogni persona, colei conosciuta come un sostantivo femminile — suddiviso in due sillabe —, la cui miglior definizione corrisponde a una considerevole irritazione violenta e spesso incontrollata. Ed è proprio quello "spesso" che fa sì d'essere temuta da tutti.

La maggior parte delle volte viene scatenata da motivazioni a sé stanti, che incarnano la perfetta analogia di situazione incoercibile — irreparabili delusioni, gravi offese e contrarietà da parte di un singolo o molteplici individui.

La precedente definizione l'ho sin da sempre giudicata la migliore, la più attinente e di veridicità correlata, eppure ve ne è una seconda: la rabbia sorda e contenuta, quella dovuta allo sdegno, al senso d'impotenza, all'invidia, al dispetto.

Vi sono due interpretazioni esistenti del termine, assai differenti fra di loro, due poli opposti, mai destinati a incontrarsi e a collidere.

La rabbia incondizionata, fuori controllo, che esplode al tuo interno con la stessa potenza sprigionata da un vulcano, incurante di colpire qualcuno o qualcosa, impassibile se dovesse causare danni irreparabili. Quella rabbia che prorompe con la sua lava incandescente infiammando tutto ciò che incrocia sul proprio cammino. Le importa soltanto di affiorare in superficie — repentina e sterminatrice —, di uscire all'esterno, solo questo.

Non importa del resto, di chi sta fuori. Lei è egoista.

La rabbia pacata, dal portamento composto come quello di una dama di corte seduta a tavola per il pranzo, non si scompone nemmeno quando le cose precipitano inesorabilmente. Questa rabbia non si sfoga come la prima, non si scatena facendo rumore, rompendo tutto — vetri rotti e cristalli interrotti — rimane incastrata dentro, incisa sulle ossa, incuneata alle viscere, agli organi, conficcata nell'anima come la più infida delle lame.

Essa non risale in superficie, non ha desiderio di venire alla luce del sole, di essere carezzata di tepore.

Se la prima definizione di rabbia è quella disastrosa per gli altri, allora la seconda è quella disastrosa per chi la prova in prima persona. La prima logora e distrugge chi hai intorno, la seconda logora e distrugge te.

Come definizioni sono assai discordanti fra di loro, le eterne sorelle destinate a darsi battaglia ma mai a trovare un punto d'incontro — però alla fine dei giochi, in ogni caso, qualcuno viene condannato.

Io la parola "ira" la conosco molto bene, non cela segreti per me, sorride quando ella mi guarda negli occhi. Condividiamo una profonda amicizia da un bel po' di tempo, più di quanto vorrei ammettere.

Sono a conoscenza di ogni sua singola sfaccettatura — poiché ne ha molteplici —, delle sue conseguenze, di cosa è capace di fare se istigata ai limiti. Sono a conoscenza dei suoi sinonimi, so che si definisce addirittura come "odio", "irritazione", "collera" e "rabbia".

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora