32. Ammissione

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È imperiosa la marcia che metto in atto al fine di raggiungere al più presto la mia auto

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È imperiosa la marcia che metto in atto al fine di raggiungere al più presto la mia auto.

Dopo aver riservato a quel faccia da cazzo uno degli inchini più rispettosi e riverenti del mio repertorio – un gesto anche fin troppo generoso da parte mia – è urgente e pressante la voglia che ho di sparire e di andarmene via da lì.

Per contro, assieme a questo bisogno palpabile, avverto anche una certa smania di bloccare le mie gambe, di voltare direzione e di andare a riempire di ceffoni il viso angelico ed etereo del divino Apollo.

Sto persino valutando l'opzione di prendere quella ragazza per quella sua bellissima e lunga treccia per poi tirargliela finché non si metta a implorare la mia pietà.

Per intenderci, sono riflessioni piuttosto crudeli le mie, sicuramente spietate, tuttavia non posso impedire ai pensieri galoppanti di andarci a parare. Sono un qualcosa di involontario e mi è proprio impossibile tentare – o quantomeno riuscire – di fermarli. Appunto sono stupidi e che mi vanno a dipingere come una perfetta scriteriata.

Andiamo... non ho niente che mi lega in qualunque modo a Leonardo, totale aria fritta; tecnicamente non avrei motivo di sentirmi così piccata, così irritata, nell'averli visti vicini, insieme, intimi. Sono totalmente senza scuse, indifendibile.

Eppure mi sento così, mi ci sento e basta.

Mi sento gelosa? Be', dal momento che Leonardo mi si è apertamente dichiarato e dal momento che ha mostrato evidente interesse per la sottoscritta direi che avrei le mie ragioni per essere gelosa!

Mi sento, allora, oltre che gelosa, rabbiosa? Ma è ovvio! Io e la rabbia siamo fin dalla notte dei tempi un tutt'uno. Non per niente sto covando degli istinti omicidi molto forti verso i due chiamati in causa.

Io sono gelosa di Leonardo.

No, impossibile, è impensabile, inammissibile!

"Allora perché te ne stai andando tutta impettita come se avessi cinque anni e non diciotto?", eccola che ritorna bastarda come non mai la voce che se ne sta assopita in angoli reconditi.

Prima mi suggerisce di fare una cosa e subito dopo me ne propone un'altra del tutto diversa. Va a finire che prima o poi agirò senza più ponderarci sopra a dovere... tanto qualunque cosa io scelga di fare sarà a prescindere una via di mezzo fra il giusto e lo sbagliato. Un cinquanta e cinquanta.

Dunque questo mio tentativo di fuga sarebbe sia giusto sia sbagliato. Dunque questo mio marciare perentorio e questa mia percezione nell'udire "La Tormenta" di Vivaldi accompagnarmi nell'intento è un qualcosa di appropriato soltanto per metà.

Ogni rintocco dell'arco del violino corrisponde a un mio sbattere le palpebre con decisione ed enfasi, corrisponde a un passo che può essere breve come anche eccessivamente lungo. Sono talmente carica di disappunto e di tensione che mi metterei a danzare questa melodia persino nel bel mezzo di questo centro equestre, privandomi delle scarpe e premendo le punte dei piedi direttamente sulla polvere e sui sassi – a costo di veder sanguinare le unghie e di lacerarmi i talloni.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora