54. Dietro l'incanto

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"Se ammettiamo che l'essere umano possa essere governato dalla ragione, ci precludiamo la possibilità di vivere."

Into the Wild (2007)

















Into the Wild (2007)

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«Che... cosa... che cosa era... quello, esattamente?».

Una domanda che suggerisce titubanza — quella parvenza di esitazione che si allaccia con gratitudine a un ricamo di stupefazione nel colore delle pupille —, quasi paragonabile a un farfugliare confuso, si solleva in quel vestibolo di persone radunate a cerchio.

Di coloro che danno l'apparenza di poterlo gestire il caos; quando, invece, altro non è che manipolato da un semplice e piccolo spreco di spazio, occupato dall'effigie in vetro di una bottiglia.

Dal contenuto alcolico sino a poco fa, adesso disseminato in noi e nelle parole goliardiche che non riusciamo a mantenere più sigillate.

E la voce tremolante — il coraggio di fare la prima mossa in quell'intrico greve di rovi spinosi, scheletri taglienti e interrogativi mordaci quanto silenti, custodite con riserbo e timore di osare — proviene da Diego.

Le labbra che non riescono a trattenere un refolo di solenne panico, le iridi che danzano senza una meta ben precisa — osservando tutti, osservando nessuno, chiedendo aiuto, chiedendo spiegazioni. Forse, cercando di aggrapparsi a me, tentando di scovare un appiglio sicuro, l'intenzione di stringere la sua mano una volta afferrata.

«"Che cosa era quello" cosa?» chiosa Giulio Viviani con il petto che si alza e si abbassa senza controllo, il respiro irregolare per via dell'adrenalina che gli scorre dritta in vena.

Ancora eretto in piedi, sulle sue stesse gambe, la bocca appena dischiusa e lo stupore istoriato a fior di volto — che funge da ragnatela, diramandosi poco a poco, intrappolando tutto ciò che incontra nel proprio cammino. La sporgenza del pomo d'Adamo che sobilla la pelle che lo riveste, quasi solleticandola.

«Quello! Quello "che cosa era quello"!». Diego tende il braccio nella direzione di Giulio, il dito indice disteso come se i fasci dei muscoli non potessero fare altrimenti, quasi non ricordassero più la semplicità del piegarsi e ritornare in una posizione più composta, senz'altro meno scortese.

E poi compie la stessa movenza, però nella direzione opposta, nell'angolo dove Marta e Alberto sono spariti sotto le occhiate allibite di tutti — tranne la mia —, svanendo in una nuvola di mistero; cenere nera come i ciuffi informi e scombinati di lui, freddezza opalina dell'assenza come l'animo di lei.

La bottiglia — l'artefice suprema, attraversata da un diletto inconcepibile, e fautrice di grovigli di confusioni e segreti rivelati — se ne sta immobile, ferma nella sua posizione di estremo potere in mezzo a quei cuori ubriachi di paure e di emozioni. Di tremolii nascosti, trattenuti prigionieri all'ombra di false congetture e fasulli "buon viso a cattivo gioco".

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora