66. Catastrophes nocturnes

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Ogni persona che affronta un viaggio, non ritornerà mai uguale a come quando è partita.

Breve... lungo... la durata non fa la differenza.

Io sono convinta che nel graffio di un istante si possa sentire l'insostenibile pesantezza di interi anni; la sregolatezza di decisioni impulsive, frettolose, a comprimere violentemente come a farci capire quanto siano in ritardo, uno sfogo dilagante a imprigionare ogni sguardo, ogni espressione modulata, ogni sorriso cristallizzato sulle labbra.

Nel graffio di un istante, si cambia in modi che non potremmo mai prevedere, mai immaginare.Lo senti e basta, lo senti baciare la pelle in uno strappo di sogni e incubi. E da lì tutto si rovescia. Irrimediabilmente.

Un soave declino che ci cala addosso come la caligine sottile di un mattino ancora abbracciato al tenebrore della notte, un orpello crudele che disegna nuove forme nei visi, ghirigori scintillanti a bloccarsi attraverso movenze usuali, per poi manovrarle in direzioni del tutto sconosciute.

In quei sogni e in quegli incubi ci siamo tutti. Dal primo all'ultimo.

Nelle iridi un brillio singolare e straordinario, a mutare in ogni rintocco di ciglia, nelle pieghe delle labbra l'urgenza spasmodica di esprimere qualcosa che, in effetti, rimane inesprimibile. Inenarrabile a soli parole... misterioso se fabbricato con le trame banali della voce. Ma... così dolorosamente, squisitamente colorato se pronunciato col silenzio degli occhi.

E questa sono io, in tutti i miei colori.

A stagliare in piedi in un angolino dell'aeroporto, ritta con le ginocchia piegate e la bustina dei regalini stretta al petto come qualcosa di preziosissimo, e le pupille irrorate di zampilli di brividi inavvertibili. Parole infinite, ad attraversare lo specchio dell'anima, in apparenza riverse nel vuoto, ma... in realtà... a svanire sotto la dolcezza dell'espressione dei miei amici.

E di lui.

Di Leonardo — di un qualcuno che non potrebbe essere mai stato più diverso di così.Adagiato con delicatezza su quel posto che poco fa stavo occupando io, mentre lui se ne restava in piedi. Poi ho deciso di cederglielo, di fare un po' a cambio. La chiamata del nostro volo non avrebbe tardato ad arrivare, non mi è dispiaciuto invertire un po' le posizioni.

Al fior dei suoi zigomi cesellati, precisissimi e ornati dal contorno dorato degli occhiali, affiorano libere quelle parole ammantate dal silenzio, chete, ricamate fra le curve chiare delle ciglia, sussurrate solo per me.

Quando lui mi guarda in quel modo, è come se venissi strappata via dalla volontà del mondo e dello scorrere del tempo. Mi dimentico della costellazione di persone attorno a me, a noi, svaniscono in una nube cristallina di fumo, confinate in un luogo che so con certezza di farvi ritorno.

...Anche se non con tanta fretta.

«Vuoi sederti qui, sopra di me?».

Gli occhi sbarrati si chiudono in uno schiocco rapidissimo. Un masticare accennato di palpebre, aprirsi e chiudersi, parole vere, voce vera, mi fa atterrare dolcemente con le suole delle scarpe per terra. Senza darmi il tempo di contare numeri semplici, la realtà torna a pulsarmi nei timpani.

Tutto riacquista il suo senso: l'aereo di ritorno per Firenze che fra poco avremmo ripreso, il chiacchiericcio vivido e acceso degli studenti radunati in un grande nido, dirimpetto al gate ancora chiuso, i professori a far capolino in cima a tutto quello stuolo di ragazzi, i muscoli delle braccia a pungere come spilli, intirizziti dalla posizione scomoda con cui mi stringo il sacchettino dei souvenirs.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora