53. Skeletons

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"Ascoltali. I figli della notte. Che musica che fanno."


Dracula (1931)





Dracula (1931)

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«Matilde?».

Graffia.

Una sgradevole percezione di tormento graffia e scalfisce sul fulcro del petto, laddove è intessuta al sicuro dagli occhi — spesso petulanti e dalle parvenze indelicate — la sottile e intricata ragnatela di emozioni e di turbamenti. Rievocazioni dal sapore amaro, che ne rimangono imbrigliate su quei fini grovigli, dolcemente posate con estremo garbo e attenzione, più di quanto sia essenziale — un lacrimevole tentativo di sopprimerle, insabbiandole sotto coltri di fragile beatitudine, è il mio.

Farsesca persuasione che spariscano, che scompaiano da mente e cuore, come quelle poesie che ho mancato di leggere al fiorire dell'autunno; vocaboli sperduti nell'aria e nel vento, mescolandosi con l'appassire delle foglie, dimenticati da una sognatrice dall'animo lieve e blando, e con il desiderio costante e incalzante di leggere — mischiarmi a quelle parole, aggrapparsi, e volare via con loro. Una sensibilità talmente esile che non lascerebbe impronte nemmeno su un manto di neve.

Ma adesso, anziché dare attenzione ai testi che si allacciano all'autunno, qualcosa dentro il mio involucro mi sprona a dedicarmi con mente e cuore a quelle righe che — in una maniera sublime — vanno a comporre in me una sorta di tarsio, un incastro che piano piano mi rifinisce

"Raccoglimi" di Saffo, per non far smorzare la speranza, per credere con ardore che qualcuno, prima o poi, sappia accettare quel susseguirsi di splendide anomalie e ombre che vanno a disegnarmi con sottigliezza.

"Felicità" di Trilussa, per ricordare a me stessa che la felicità — parvenza di diletto — è piccola piccola, come una sgargiante apetta, e la puoi trovare davvero in ogni angolo, soprattutto in quelli più nascosti, improbabili.

"Inno alla bellezza" di Baudelaire, per serbare memoria che gradevolezza e splendore si celano sia nelle cordelle di luce, sia nei ghirigori di buio.

"Il fumo" di Brecht, per avere sempre la consapevolezza della famiglia, cordiale e che dà tenerezza in un modo del tutto unico, poiché sfuggente all'ideale di normalità.

E "Temporale" di Pascoli... per rassicurarmi che la venuta di una tempesta può essere anche descritta come un qualcosa di poetico, e non necessariamente come un qualcosa che porta distruzione e caos.

Ma no.

Quella percezione continua a graffiare, quei ricordi artigliano e scorticano dall'alto di quella loro fortezza di ragnatele, incrollabile e solida nella sua delicatezza.

...Perché più un qualcosa pare delicato, più sembra essere indistruttibile?

Perché io, nel mio essere spezzata, invece, mi sono ritrovata in un'infinità di pezzi — mille e mille schegge di tasselli di Matilde, sparsi in ogni dove, lontani da me? Perché io devo rompermi sempre, in qualche modo? Che le mie ossa siano troppo frangibili per sorreggere un peso del genere? Affanni sempre troppo smisurati, sempre troppo onerosi...

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora