40. Passato remoto e sepolto

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Marta.


Io ed Emilio usciamo fuori dal bar di Gesualdo. Abbandoniamo quel piacevole tepore per ritornare all'esterno dove regna il freddo, per ritornare alla caotica vita fiorentina.

Naturalmente, ho insistito fino alla fine a voler pagare il tè con i miei stessi soldi, ho preferito pagarmelo da sola senza dover accettare inutili offerte da parte del mio professore, che non si è risparmiato ad avanzare.

Gli ho spiegato, non mancando di essere educata, che a me piace non essere in debito con nessuno, nemmeno se si tratta di un euro e cinquanta centesimi. Una sciocchezza, in realtà, ma per me significa assai tanto.
Per cui ho scelto di versarli di tasca mia, non ho voluto sentire obiezioni.

Emilio, di fronte alla mia affermazione inerente al "mi piace non essere in debito con nessuno", ha commentato con un ironico «Sì, l'avevo intuito», seppur sorridendo, un lieve sorriso è stato così generoso da donarmi.

Inutile dire che un simile sorriso ha fatto sciogliere il mio cuore gelido e privo di calore, che io l'abbia voluto o meno. Sono delle azioni particolari, queste qua, quelle sfuggono via dal controllo senza neanche che tu te ne accorga. E quando te ne rendi conto, con consapevolezza, sai che è troppo tardi per rimediare.

Scacco matto alla Regina.

Successivamente, saliamo a bordo della sua auto con l'intenzione di tenere fede alla mia richiesta. Ossia di andare via da lì, di andare in un luogo ancora più tranquillo. È vero, il desiderio l'ho espresso io, tuttavia non ho avanzato suggerimenti al riguardo. Sta facendo tutto quanto Emilio, è lui che sta prendendo questa importantissima decisione decidendo anche per me.

Dove mai potremmo andare al fine di ritrovarci in un luogo più tranquillo del bar semi-deserto di Gesualdo? In tutta onestà, preferisco non fare ipotesi, meglio che io non pensi a niente. La reputo una scelta saggia oltre che prudente.

"Pensa ad altro, Marta, pensa a qualcos'altro", mi esorto da sola, prendendo un lungo respiro e tentando di rallentare il battito cardiaco.

Ma a cosa dovrei pensare in un momento del genere? Sono dentro la macchina del mio professore di storia dell'arte, quello per cui – tecnicamente – ho una seria e non indifferente sbandata!

A cosa diavolo potrei pensare? La mente è tutt'ora vuota, nemmeno una boiata simile a quella che ho sparato nel dopo riunione al Caravaggio sarei in grado di partorirla.

Mi ritrovo a esaminare ogni dettaglio all'interno della vettura; nessun pensiero tetro, nessuno scenario splatter, soltanto gli interni morbidi e delicati della sua Jeep.

Incredibilmente, constato che è molto pulita, non c'è la minima traccia di polvere ed è priva di qualsivoglia cartaccia sparsa là e qua, e di qualsivoglia bottiglia vuota.

In qualche modo pare rispecchiare in tutto e per tutto il mio professore, sempre composto, perennemente impeccabile e mai con un capello fuori posto. Tale auto, tale padrone. La mia, in compenso, è un caos totale, come la mia camera, come i miei appunti, come le cartelle del mio pc, come la mia mente.

Niente che sia in ordine, la confusione regna sovrana.

Dentro la Jeep prevale il silenzio, mi accorgo solo in un secondo momento, ora che sono priva di pensieri deviati. La radio è spenta, le nostre bocche sigillate, a tal punto che riesco a sentire il sangue pulsarmi nelle orecchie con chiarezza e persino il suono del mio cuore riecheggia tranquillo. Adesso mi sono calmata.

Be', mi sembra il minimo dal momento che mi sono agitata anche sin troppo, poco fa. A quando Emilio finalmente è riuscito a darmi del "tu"...

Ci vuole un po' di contegno, insomma! Ho pur sempre diciotto anni, non più quindici.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora