68. Quando Apollo s'invaghì di Atena

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"Lascia che ti faccia dono di un segreto: è solo con il cuore che si può vedere veramente. L'essenziale è invisibile agli occhi."


Il piccolo principe (2015)








Osservare il mondo dall'alto, simulando di fluttuare con le nuvole, mi ha fatto sempre sentire invincibile, forte come un pilastro di selce, libera come un passero

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Osservare il mondo dall'alto, simulando di fluttuare con le nuvole, mi ha fatto sempre sentire invincibile, forte come un pilastro di selce, libera come un passero.

Con i gomiti puntellati al davanzale cinerino, livido di screziature, e le sopracciglia ridotte a una staticità talmente inanimata, lascio che le mie pupille, attraverso le ciglia scurissime, si riempiano di un cielo che se ne frega del resto del mondo, e delle sue nuvole, sue dame adorate.

Una torma di boccoli di fumo s'insidia in quella proiezione di colori e creste di tetti rossi, valicando la cinta dei denti stretti, fendendo il vuoto, la pelle delle mie labbra martoriata dai morsi.

I resti dell'ennesima sigaretta svettano nell'incastro delle mie dita — cenere bruciata, tabacco essiccato —, consumata più dal volere del vento che dalla fatica dei polmoni.Soldi buttati.

«Fanculo» schiocco in un'ondata d'irritazione, irruente quanto celere, gettando via il mozzicone con uno scatto incontrollato, mancando per un soffio il contorno del posacenere disseminato di un trionfo di sporcizia e Winston morte.

Le ossa dei gomiti si piegano in un gesto delicato, sollecitando crespe lievissime al fior dell'incarnato, le sommità a calcare con maggior impeto sul davanzale. A sostenere il peso del mio capo, il mento a scavare una voragine nei palmi vuoti, smerigliati dal lavarmi le mani con acqua e sapone di persistenza.

Sperando che quei palmi stessi possano risucchiarmi in una lacerazione di tempo e spazio, buia e stretta, dove soltanto io posso entrare e rimanere. Restare.

Dove avrei potuto lasciare le labbra distendersi, le sopracciglia arcuarsi e quelle urla a bruciarmi sulla lingua come pulviscolo arroventato scivolare via... scoprirle mute, a rintronare come echi dentro la mia testa. Tanto da sentirle io, io e basta. Nel modo, forse, più doloroso di tutti.

Ma il sole eclissato dal biancore di quelle nuvole, a forarle con i suoi dardi di luce, brillante come quel sorriso che le è stato strappato via... mi fa capire che sono ancora qui.

Ritta, dirimpetto alla finestra con le persiane ad affacciarsi sulla Cupola del Brunelleschi, un ginocchio appena piegato, le caviglie mordicchiate da un'attesa inenarrabile, insofferenti, e i capelli cresciuti a tagliarmi il viso. Inghiottita dalla loro parvenza di ombra illusoria.

Sono qui, di carne e di sentimenti. Eppure mi sento così spettro di me stessa, a impallidire sempre di più... un fiore che, inconsapevolmente, si sta abbandonando a se stesso, di nuovo. Ancora.

Imparerò mai? Riuscirò mai a capire? ...A smettere?

Sono qui. Sola. E lei non c'è più. Nel suo modo di esistere anche solo albergando nei semplici tumulti di pensieri, e quello sfavillio imperscrutabile e divergente a incidere l'espressione delle sue iridi.

Quando Apollo s'invaghì di AtenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora