Nuova vita, Nuova Me. No?

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Merda!
Ma quanto può pesare una valigia?
Mi guardo in torno imprecando a bassa voce, sono estremamente stanca e irrascibile. Vengo spintonata più volte mentre cerco di trascinarmi faticosamente verso l'uscita. I pantaloni della tuta sono completamente stropicciati, sembro uscita da una zona di guerra. Con una mano mi aggiusto i capelli con un gesto secco e veloce. 
Il flusso di persone che mi passa accanto mi destabilizza facendomi rendere conto che questo non è un sogno o il frutto della mia immaginazione. Mi sono trasferita, ho cambiato città, nazione, continente; ho lasciato la mia famiglia indietro insieme alla casa che mi ha vista crescere. Sospiro non sapendo ben definire le mie emozioni, se sono qui è solo colpa mia.

Sono passate 15 ore da quando ho lasciato la mia adorata Firenze per atterrare qui a Los Angeles. Il volo più lungo e straziante della mia vita. Ho passato il primo volo accanto a una signora ultra ottantenne che mi ha stritolato la mano per tutto il viaggio e mi ha costretto a leggere la bibbia insieme a lei, quando l'unica cosa che volevo fare era sbatterle la testa contro il tavolino e farla addormentare. Il secondo aereo l'ho passato maledicendo le ovaie di tutte le donne al mondo, tre bambini urlanti, tre fottuti bambini che facevano a turni per urlare peggio di una banshee, finiva uno iniziava l'altro e così via per dodici ore. Ho dovuto reprimere l'istinto di rompere il finestrino e buttare fuori dall'aereo quelle bestie di satana. Ridacchio pensando a come reagirebbe una persona normale ai miei pensieri. Se c'è una cosa che odio più del contatto fisico indesiderato sono i bambini, maledetti bambini.

Continuo a camminare lentamente strascicando i piedi, il desiderio di stramazzare al suolo si fa sempre più forte e allettante, sbadiglio svogliatamente sentendo le orecchie fischiare. Osservo con gelosia un gruppo di vecchietti che si fanno trasportare felicemente da un mini kart. I loro sguardi derisori mi arrivano come fucilate al petto.
Sto delirando.
Non che sia una novità, questo aereoporto è enorme, sono quindici minuti che cammino e non ho ancora visto nessun EXIT verde lampeggiante. L'odore di alcol e disinfettante mi risveglia leggermente facendomi camminare più velocemente. Sbatto contro persone, scusandomi a mezza voce poco sinceramente. Mio fratello mi ha sempre definita una mina, o meglio una bomba vagante, ed io non gli ho mai dato una ragione valida per credere il contrario. A sei anni, durante una gita al mare con la scuola, sono corsa in contro a mio fratello che allora aveva sette anni e l'ho buttato giù da una scogliera alta due metri forse di più. Così mi sono guadagnata il soprannome di Bullet. Apparte un braccio rotto Jason ne è uscito totalmente sano come un pesce. 

Sorrido pensando a Jay e al suo sorriso luminoso. Mi ha sempre donato il suo supporto, nonostante tutto e tutti. Se non fosse stato per lui io oggi non sarei qui.
Il mio sorriso viene spazzato via da un ricordo che si abbatte su di me come un fulmine a ciel sereno. Imprevedibile, devastante e inevitabile: il suo viso stravolto dal dolore, gli occhi azzurri lucidi per via di lacrime che non gli appartenevano. Labbra screpolate che sussurravano suppliche davanti il mio sguardo privo di qualunque cosa se non rabbia.

Scuoto la testa vigorosamente cercando di scacciare via qualunque pensiero appartenente al passato. Sospiro affranta continuando a camminare meccanicamente.
Guardo le mie scarpe logore, ma con un certo fascino, scivolare agevolmente sul suolo lucido e pulito.

Io e Jason dovevamo partire insieme, ma i miei genitori hanno preferito lasciarmi finire tranquillamente il mio ultimo semestre nella mia vecchia scuola e mandare mio fratello qui in anticipo.
Il perché? Non chiedetemelo visto che non saprei darvi una risposta abbastanza intelligente e adeguata.

Continuo a camminare per quelle che mi sembrano ere, cerco di mantenere gli occhi aperti e vigili. Cosa difficile quando si ha più di quarantotto ore di sonno arretrato.
Impreco senza grazia o femminilità ricevendo varie occhiatacce che non mi fanno né caldo né freddo, tanto non mi comprende nessuno.

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