First Day of hell

9.8K 292 44
                                    

Mi rotolo nel letto immergendo la testa nel cuscino fresco che odora ancora di nuovo. Mugolo infastidita da un suono assordante, scalcio malamente le coperte in fondo al letto a due piazze. Apro un occhio ritrovandomi davanti scatole, tantissime scatole ancora chiuse.
Mi rigiro sospirando di sollievo quando non sento altro che il silenzio.

Ancora stento a crederci, sono a Los Angeles. Sospiro esausta passandomi le mani sugli occhi, sarà tutto nuovo, nuovi quartieri, nuove esperienze, nuovi amici, nuova scuola.
Scuola... Maledizione! Mi alzo di scatto buttando i piedi sul pavimento gelato. Giro la testa osservando l'orologio che segna un orario che deve essere scorretto, le sette e cinquantuno del mattino. La sveglia è appena suonata, com'è possibile? L'avevo impostata per le sette meno cinque. Jason, tendo le orecchie cercando di sentire qualunque suono che mi confermi che lui sia ancora qui, ma niente, il silenzio più assoluto.
<Brutto figlio di putt...>

Spero per lui che conosca un buon dottore californiano perché appena lo vedo lo massacro.
Corro verso il bagno incespicando tra le varie scatole sparse per terra. Mi preparo velocemente mettendomi i primi vestiti che riesco a trovare. Una maglietta nera larga e degli shorts di jean, poteva andarmi peggio.

Mentre cerco di spazzolarmi denti agguanto la spazzola e inizio a districare i mille nodi tra i miei capelli marroni. Il dentifricio mi casca nel lavandino svariate volte prima di decidersi ad entrarmi in bocca.

Afferro lo zaino correndo giù per le scale, con un balzo atterro nel salotto saltando gli ultimi cinque gradini. Esco di casa chiudendo rumorosamente il cancellato in ferro battuto. La schiera delle piccole ville mi manda in confusione. Destra o sinistra? Dannazione, chiudendo gli occhi cerco di rammentare le istruzioni per niente chiare di Jason. Destra, dritto, sinistra, giro la rotonda, seconda uscita e poi ancora a dritto. Con lo stomaco che grida alla fame corro il più velocemente verso la scuola. Sfreccio lungo la strada schivando turisti, ragazzi con lo skate e surfisti a cui non sembra importare un accidente di dove finisca la loro tavola.
Attraverso la strada scontrandomi con troppe persone, una macchina rossa frena di scatto suonando il clacson quando le sfreccio davanti. Urlo delle scuse mentre le guance mi si tingono di rosso per l'imbarazzo. Jason è morto, cosí morto che può considerare la sua adorata collezione di lattine già in vendita su amazon.

Persa, sono completamente persa, mi tasto la tasca dei pantaloncini cercando il cellulare che non trovo. Un senso di vuoto si fa avanti nel mio stomaco quando realizzo di non avercelo addosso. Emetto un verso straziato, mi guardo intorno cercando inutilmente qualcosa di vagamente familiare. Il sole mi scotta la pelle facendomi colare un rivolo di sudore lungo la tempia. Camminando lentamente mi lego i capelli in una coda di cavallo che mi sfiora le scapole.
Ho sempre considerato Los Angeles una meta per le vacanze, tutte le estati le ho sempre passate qui, la città nativa di mia madre, ma non sono mai riuscita ad instaurare un rapporto con niente e nessuno. Non riconosco nessuna di queste strade, la calma e la spensieratezza delle estati scorse sembrano scomparse. Los Angeles non sembra più cosi magica ed unica. Niente sembra come prima da quando è successo quel che è successo. Scuoto freneticamente la testa cercando di scacciare via i ricordi, di nuovo. Odio vivere nel passato, odio pensarci, ma alcune volte sembra inevitabile. Per questo è più semplice fare finta di nulla. Andare avanti, o almeno, pretendere di farlo.
Prendendo coraggio rincorro una coppia di surfisti con sorrisi perfetti e fisici da fare invidia. Con una mano fermo un ragazzo toccandogli una spalla, lo vedo girarsi di scatto mentre i suoi occhi si scontrano con i miei.
<Come posso aiutarti dolcezza?> Chiede sorridendomi maliziosamente con dei denti bianchi perfetti. Tiro un sorriso di circostanza. <Sapresti dirmi dove si trova la Stonewall High school?> Lo vedo lanciarmi un occhiata stranita per poi girarsi verso il suo amico che fissa distrattamente il mare. <Hey Alex, non frequenti anche tu la Stonewall?> Batto nervosamente il piede per terra mentre guardo l'orologio che ho al polso. Le otto e venti, sospiro rassegnata.
<Chi lo chiede?> La voce roca e profonda del ragazzo mi fa alzare gli occhi di scatto, brividi scorrono lungo la mia spina dorsale mentre il mio sguardo incontra quello scuro di lui. Le sue iridi del colore del piombo mi lanciano uno sguardo scettico. <Lo chiedo io, e se fossi cosi gentile da darmi le indicazioni te ne sarei grata.> Dico duramente mentre il suo volto si apre in un ghigno estremamente affascinante, ma altrettanto irritante. I capelli biondi spettinati lungo il suo viso si muovono setosi a seconda del vento. <Cosa ci guadagnerei io ragazzina?> Chiede avvicinandosi con la tavola sotto il braccio muscoloso ricoperto da straordinari tatuaggi tribali. La muta gli cade bassa sui fianchi, in un modo così indecente da dover esser dichiarato illegale. Scollo velocemente lo sguardo dal suo fisico scolpito, ma a quanto pare non abbastanza in fretta visto che il ghigno sulle sue labbra si è ingigantito mostrando una fila dritta di denti bianchi. Un moto di stizzia e imbarazzo mi ripercuote lo stomaco.
<Potresti guadagnarti la fantastica sensazione di sentirti utile una volta tanto e non azzardarti a chiamarmi ragazzina.> Dico acidamente. <Calmati tigre, dovrai offrirmi molto di più se vuoi le tue indicazioni, magari un bacio. Che ne dici?> Lo guardo con gli occhi spalancati indietreggiando di mezzo passo. <Nei tuoi sogni.> Ribatto strozzandomi sull'ultima lettera. <Sei sicura? Eppure mi è sembrato che io non ti dispiacessi prima.> La risata soffocata del suo amico mi arriva alle orecchie facendomi rizzare i peli sulle braccia.
<Hai ragione, non mi sei dispiaciuto affatto, ma poi hai fatto l'errore di aprire bocca.> Il suo viso si avvicina al mio senza perdere quel suo ghigno malizioso.
Un crampo dovuto alla fame mi attanaglia lo stomaco facendomi fare una smorfia infastidita.
<Lascia stare, troverò la strada da sola. Stronzo.> Gli do la schiena rivolgendo una breve occhiata all'altro ragazzo che mi guarda divertito con le braccia muscolose incrociate al petto abbronzato. Belli fuori cretini dentro.
Mi allontano a piccoli passi cercando una via di fuga da questa piazzetta.
<Tigre! La scuola è davanti a te.> Mi giro di scatto solo per vedere i due surfisti attraversare la strada mentre si dirigono verso la spiaggia. Guardo davanti a me per poi leggere una placchetta d'oro con sopra inciso: STONEWALL INTERNATIONAL HIGH SCOOL. Non è possibile.

Blow your mindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora