capitolo trenta

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Jungkook, non appena uscì dall'appartamento seguito da Shin e Yoongi, corse giù dalle scale come un forsennato.
Doveva trovarla il più presto possibile, chissà cosa le sarebbe capitato di notte in un paese straniero. Era talmente preoccupato da non ragionare più lucidamente.
«Non hai sentito niente di niente dalla chiamata?» chiese Yoongi, notando Jungkook sempre più fuori di testa.
«Parlava in italiano, io non lo capisco» rispose lei.
«Italiano?».
«Sua madre! Era di sicuro lei!» esclamò Jungkook, stringendo i pugni. «Ma cosa avrebbe potuto dirle?».
«Ascoltate, più stiamo qui e più quella si allontana. Cerchiamo nei dintorni, non può essersi allontanata di tanto» disse Shin, annuendo. «Ah! Ultima cosa, non può essere contattata».
«E perchè?».
«Nella confusione ha lasciato il cellulare in camera».
Jungkook sbuffò, allontanandosi poco dopo dai due. Aveva il disperato bisogno di sentirla, di sapere che stava bene, e non gli importava di dover rimanere sveglio ore e ore durante la notte. Aveva bisogno di lei.
Ancora non riusciva a credere a tutto il casino che si era creato in un solo giorno: il suo crollo fisico, la litigata tra Jin e Taehyung, ed ora Kyung-Mi che impazziva e scappava dal paese senza far sapere nulla. Tutto ciò era fottutamente da pazzi.
Jungkook continuò ad avanzare a passo spedito tra le vie disabitate del paese, purtroppo il sud America non era famoso solo per la sua bellezza tropicale, ma anche per la sua povertà e il suo alto tasso di criminalità. Non poteva anche solo pensare al fatto che Kyung-Mi fosse da sola in un posto del genere. Se le fosse accaduto qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.
C'era solo un problema: non c'era modo di sapere dove fosse. Non aveva il telefono, e Jungkook non conosceva niente di quel paese.
Cercò in tutti i piccoli vicoli, incontrando anche qualche ragazzaccio di cattive intenzioni per strada, ma non lo aiutarono affatto. Provò a chiedere ai passanti, nonostante il suo inglese facesse abbastanza schifo, ma niente... nessuna informazione.
Voleva anche solo un piccolo segnale per fargli capire che era al sicuro.

***

Kyung-Mi non si preoccupò nemmeno di prendere la macchina, era talmente in preda all'ansia e alla collera che si dimenticò persino di prendere una giacca. Correva verso una meta a lei sconosciuta, non sapeva dove andare, eppure per lei sembrava che tutto avesse un senso.
Poi si fermò, esausta dalla corsa appena fatta, su una panchina in un parco giochi abbandonato, era talmente trascurato da cadere a pezzi.
«Ma che diamine sto facendo?» si chiese, buttando la testa all'indietro. Aveva bisogno di un piano per poter ritornare in Corea, e non era per niente facile. Prima di tutto: i soldi. Come avrebbe fatto a ricavare il denaro per pagare il biglietto? Avrebbe potuto prelevare dei soldi da una banca tramite la sua carta di credito, ma la dimenticò in appartamento insieme a tutta la sua roba da vestire e cose personali.
Perciò doveva per forza ritornare in hotel per poter effettivamente avere qualcosa con cui pagare il viaggio.
Si alzò dalla panchina, sbuffando; di sicuro Shin era corsa a cercarla per tutto il vicinato, e ciò la fece stare male ancora di più. Sarebbe arrivata in hotel, avrebbe spiegato la situazione e se ne sarebbe andata tranquillamente, tutto facile no?
Certo... e come ci sarebbe ritornata in hotel? La strada era buia e deserta, e con tutta quella confusione non si ricordò nemmeno come aveva fatto ad arrivare a quel parco.
Era nel panico più totale.

***

Il moro continuò a cercarla per ore, senza ottenere risultati. Erano ormai le quattro di notte e di Kyung-Mi nessuna traccia. Si maledì mentalmente per non essere stato con lei quella sera, ma con i suoi hyung fissati con la sua salute non aveva potuto fare granchè. Era in preda ad una crisi isterica, sentiva le mani e le gambe tremare dalla tensione e le lacrime nervose che scendevano per le sue guance pallide. Era senza forze, sfinito e di sicuro avrebbe avuto in infarto da un momento all'altro se non si fosse fermato un secondo. Decise di riposarsi per qualche minuto su una panchina, non si rese nemmeno conto in che razza di posto fosse. Si mise le mani nei capelli e cercò di strapparseli dall'ira che aveva in corpo: era disperato.
Dopo poco tempo, insieme ai suoi respiri affannati si aggiunsero le gocce di pioggia che colpivano la strada, rendendo ogni cosa bagnata e umida. Jungkook riamase lì seduto, cercando di calmare il suo cuore e anche la sua mente ormai impazzita.
Gridò. Gridò talmente forte da spaventare persino sè stesso. Gridò un nome, il suo nome, cercando in qualche modo di trovarla nell'oscurità di quel parco. Sperò che in qualche modo lei fosse corso a cercarlo, ma più passarono i secondi e più si rese conto di aver pensato a qualcosa di stupido.
«Dove sei?» si chiese, cercando di trattenere le lacrime, mischiate alla pioggia che ormai lo aveva reso bagnato dalla punta dei capelli fino ai piedi.
Voleva solamente stringerla a sè, sentirla a contatto con la sua pelle e rendersi conto finalmente che lei era al sicuro. In un altra situazione si sarebbe fermato e avrebbe ragionato, ma ormai la stanchezza e la tensione che aveva in corpo gli impedirono di fare qualsiasi pensiero logico.
Lui la voleva a tutti i costi. Se nessuno era stato in grado di proteggerla, lo avrebbe fatto lui. E si maledì per non aver confessato tutto ciò che provava fin da subito, magari quel giorno sarebbero potuti stare insieme, a coccolarsi sul divano della sua stanza, invece di correre come pazzi per una città ad entrambi sconosciuta.
Gridò nuovamente, questa volta più forte di prima e più a lungo, rischiando di cadere a terra. Aspettò e aspettò, cercando di udire la sua voce fra tutti quei rumori naturali... ma nulla.
A quel punto, isterico com'era, si lasciò andare in un pianto disperato. Pianse tutto ciò che non aveva tirato fuori per tutti i suoi vent'anni, tutta la sua collera, tutto il suo amore per quella ragazza.
E poi, finalmente, una flebile e lontana voce si fece spazio nella sua mente, rendendolo cosciente per una manciata di secondi.
«Jungkook?!» diceva. Ne era sicuro, quella era la sua voce. Si alzò da terra, cercando con lo sguardo la figura esile di Kyung-Mi.
«Kyung!» urlò nuovamente.
«Dove sei?» chiese lei, e Jungkook giurò di non essere mai stato più felice di udire quel dolcissimo suono.
«Segui la mia voce!» urlò, uscendo dal cancellino arrugginito di quel parco. Si fermò sul marciapiede, osservando le strade che si dividevano a partire da quell'incrocio. Non c'era nessuno, era talmente abbandonato da far paura.
«Jungkook!» urlò di nuovo lei, e il moro si girò verso la direzione di quella voce, aspettandosi di trovarla. Ma era ancora troppo lontana.
«Arrivo!».
Jungkook ricominciò a correre lungo la stradina, dimenticandosi di tutto il resto. Rimase con lo sguardo puntato verso la fine del marciapiede, mentre la pioggia si faceva più fitta e le lacrime scendevano sempre più frequenti. Poi, rallentò improvvisamente, mettendosi una mano sul petto e stringendo la sua maglia. Il cuore stava impazzendo come non mai, sentiva un dolore mai provato prima che lo costrinse ad arrestare la sua corsa.
«Jungkook!» e finalmente, la voce di Kyung-Mi si fece più vicina non appena le ginocchia di Jungkook cedettero, e cadde a terra. Le sue orecchie erano tappate dal suono dei battiti, talmente forti da far esplodere i suoi timpani.
«Oh mio dio, Kookie» disse lei. Si era accovacciata di fronte a lui, mentre il moro nemmeno sapeva che era salva. Jungkook strinse gli occhi dal dolore, serrando la presa sul tessuto della sua maglia. Kyung-Mi si tolse la felpa che aveva indosso, mettendola sopra la testa di entrambi per evitare di bagnarsi ulteriormente.
«Ehi, Jungkook, ci sono» sussurrò nuovamente, avvicinandosi a lui.
«Fa... fa male!».
«Guardami» ordinò, ma Jungkook non volle saperne di aprire gli occhi. «Ti prego, guardami».
Kyung-Mi alzò il mento del moro e, finalmente, si decise a guardarla. Aveva gli occhi pieni di lacrime, rossi come se fossero sanguinanti, e le sue gote erano diventate bollenti. Prese dei profondi respiri, osservando la ragazza davanti a sè trattenendo il pianto.
«S-stai bene?» chiese Jungkook. Le sue mani scivolarono dalla maglietta, finendo sulle ginocchia.
«Sí, sto bene!» rispose sorridente, anche se dentro di lei era in corso una lotta fra la buona ragione e l'istinto.
«Dio, se farai ancora una cosa del genere giuro che non ti perdonerò mai».
Kyung-Mi ridacchiò, anche se, doveva ammetterlo, rimase colpita dal gesto di Jungkook. Era comunque un Idol, cosa gliene importava se un membro dello staff avesse deciso di andarsene?
«Sei arrabbiato?».
«Dovrei» rispose. «Ma non ci riesco con te».
«Scusami. È successo un casino e non ho avuto tempo di pensare a niente che sono andata in crisi e-».
Jungkook non perse tempo e la avvolse in un abbraccio, che fece immediatamente scoppiare Kyung-Mi in un pianto di sfogo.
Il ragazzo le accarezzò i capelli bagnati, le passò le dita sul viso più volte per levarle le lacrime, e lei non potè fare altro che ammirarlo per il suo comportamento.
«I-io non posso sopportare di vederti in queste condizioni. Tu mi piaci, e anche tanto... cioè, quel tipo di piacere che non ho mai provato per nessuna ragazza e- okay, non è un buon momento questo, ho rovinato tutto, scusa».
Kyung-Mi rise ancora, divertita dalla confessione del moro. Non aveva sbagliato, era il momento perfetto per poterlo dire.
«Mi piaci anche tu, da impazzire» disse in risposta Kyung-Mi, sorridente.
«Cosa?».
La bionda annuì, battendo in denti.
«Ma ora vorrei tornare in hotel, se non ti dispiace».
«Oh, sì, giusto... l'hotel» mormorò Jungkook, alzandosi improvvisamente in piedi.
Kyung-Mi seguì il ragazzo, mettendosi la felpa intorno alla vita. La pioggia continuava incessante a cadere sui loro corpi umidi, che avanzavano lentamente verso i loro appartamenti. Jungkook, per fortuna, riuscì a ritrovare la strada nonostante avesse corso senza un senso durante quelle ore notturne, e arrivarono nella hall dell'hotel in mezz'ora di camminata. Avvisò Yoongi e Shin che Kyung-Mi era ritornata sana e salva, ed entrambi, non appena la videro, la abbracciarono esausti.

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