capitolo quarantasei - the Last

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“huimangi ineun gose bandeusi siryeoni ine”.

Non sapeva il perché né il come fosse finita ad ascoltare quella canzone, era solamente spuntata nella sua riproduzione casuale di spotify e forse, si disse lei, il fato aveva deciso di giocarle un brutto scherzo proprio quella mattina. Perché, casualmente, aveva deciso di farsi coraggio e dirigersi a lavoro dopo un paio di giorni d'assenza a causa dei progetti della madre di ritornare in Italia. Nella macchina aveva già qualche scatolone vuoto, in fondo sapeva a cosa sarebbe andata incontro una volta varcata la soglia dell'agenzia, nonostante non fosse ancora pronta. Non voleva abbandonare quell'uffucio, i suoi colleghi, la sua routine, ma soprattutto non voleva dire addio a chi, nel corso di quei mesi, c'era sempre stato. Quei sette cantanti erano riusciti a farle dimenticare la malinconia che provava dal giorno in cui mise piede in Corea, bramando le calde terre mediterranee della sua Napoli. Erano una famiglia, cosa che a lei era sempre mancata. Non voleva salutare Shin, quella sorridente ragazza incontrata durante il suo primo shooting sulla spiaggia di Sokcho e che, a distanza di poco tempo, aveva significato davvero tanto per lei. Non voleva abbandonare un altra volta Cho-Hyun e, in fondo, neanche Kang So. Non trovava il coraggio di dire addio alle strade affollate di Seoul, ai palazzi illuminati nella notte, ai parchi isolati tra le colline in periferia, a quei piccoli dettagli che rendavo unica la capitale coreana. Ma come dice il detto, ogni cosa bella dura poco, questa anche troppo.

Kyung-mi teneva le mani ferree sul volante dell'auto, avanzando lungo una strada a quattro corsie. I suoi occhi catturavano piú particolari possibili, dalle insegne dei negozi ai gruppi di ajumma che parlottavano fra di loro – forse avrebbe sentito maggiormente la loro mancanza, anche se, pensandoci, gli anziani dei paesini italiani in collina non erano da meno. Sorrise tra sé e sé, svoltando su un ultima curva prima di giungere al grande parcheggio dell'agenzia. Le auto erano poche, ma riuscí bene a distinguere quelle di alcuni manager dei ragazzi e l'inconfondibile auto di Kang So. Non esitó troppo a scendere, posando i bassi tacchi scuri sull'asfalto freddo di prima mattina e avanzando verso le porte d'entrata.
Tutto era quieto e... normale, insomma, come qualsiasi altro giorno lavorativo. Alla segreteria all'ingresso risiedevano le solite tre giovani ragazze dai capelli legati che, come di consueto, mi rivolsero un sorriso cordiale. I vari uffici, man mano che Kyung-Mi attraversava l'edificio, erano occupati da meno impiegati del solito, forse a causa del periodo di ferie che molti avevano deciso di prendere dopo la prima parte del tour dei ragazzi. In parte ne era felice, non avrebbe dovuto passare in rassegna ai molteplici sguardi curiosi dei suoi colleghi quando avrebbe lasciato l'agenzia insieme a scatoloni di cartone.
Dopo un paio di minuti giunse nel suo reparto, anch'esso quasi del tutto vuoto se non per una donna sulla quarantina che aveva incrociato di sfuggita durante i primi mesi di lavoro e... Kang So. Lo vide solo quando decise di entrare, catturando la sua attenzione. I loro sguardi si incrociarono per qualche istante, giusto il tempo di togliersi la borsa a tracolla dalla spalla e postarla sulla sua scrivania.
«N'é passato di tempo», fu la prima cosa che Kang So prununció, un sorriso beffardo a decorargli il viso. «Pensavo addirittura che avessi deciso di andartene di tua spontanea volontà».
Kyung-Mi era quasi irritata dalle sue parole, ma non voleva scaldarsi inutilmente, non quel giorno.
«Lo avrei anche fatto, ma non potevo lasciare qui tutta la mia roba» gli rispose cautamente, indicando qualche cianfrusaglia posta in ordine sulla sua postazione. «Ho gli scatoloni in macchina».
«Oh, bhé... pensavo di discuterne con piú calma, magari con del caffé o-».
«Kang So, non ho tempo», lo interruppe immediatamente. «Devo lasciare l'ufficio entro oggi, altrimenti non potró finire di organizzare il trasferimento».
«Pensavo... pensavo ti ci fosse voluto piú tempo, il capo ti ha dato tre giorni» disse lui visibilmente in difficoltà, di certo non pensava che avesse già pianificato tutto, l'effetto sorpresa non c'era stato.
«Ed io tra tre giorni prendo l'aereo e me ne vado, quindi oggi o mai piú», decise di concludere lí la conversazione, lanciando le chiavi della sua auto sul petto del collega. «Se vuoi essermi utile, vai a prendere gli scatoloni in macchina, dopo di che potrai mandarmi via a suon di calci ed usciró dalla tua vita, okay?».
Kang So era sempre piú sorpreso dai comportamenti di Kyung-Mi, tant'é che si chiese se fosse la stessa di prima della partenza per il tour. Ma non se lo fece ripetere una seconda volta, prese di fretta gli scatoloni dall'auto della ragazza e cominciarono insieme a ritirare gli oggetti a cui teneva di piú. Nonostante quello che successe, Kang So ci teneva a lei in modo particolare; non era stato facile perdonare le sue azioni dopo quella notte, né tantomeno i colpi di Jungkook che gli costarono una settimana d'ospedale e quindici giorni d'ingessatura, ma sapeva che non era stato il suo subconscio ad agire. Aveva bevuto, forse troppo, e l'alcool mischiato alla sua crescente voglia di lei in quel momento avevano portato a ció che era accaduto. Aveva sbagliato e lo sapeva perfettamente, e non voleva dirle addio con quel suo grande rimorso.

Pellicola » |J.Jk.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora