capitolo trentadue

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Il mattino dopo fu abbastanza traumatico per entrambi. I ragazzi si svegliarono con tutta la calma del mondo e fecero colazione nella stanza d'hotel di Rapmon, chiaccherando e discutendo sul concerto del giorno prima. Jungkook e Yoongi si alzarono dai loro letti tre ore dopo gli altri ragazzi, con due enormi occhiaie sotto gli occhi e i muscoli indolenziti. Per di più, Jungkook avvertiva l'influenza farsi strada nel suo corpo, ogni minimo movimento era accompagnato da un dolore osseo e qualche lamento.
«Ditemi un po', ieri a che ora siete tornati in hotel?» appena varcarono la soglia della loro sala prove improvvisata – una piccola stanzetta prenotata appositamente dai membri dello staff –, a fargli il terzo grado fu il maggiore del gruppo, Jin. Yoongi inizialmente non rispose, si limitò a sedersi su una sedia bianca posta in un angolino, mentre Jungkook si copriva sempre di più con la sua felpa scura. Alla fine, notando che il minore era troppo esausto per aprire bocca, fece lui :«Bho, penso le cinque».
«E avete trovato la fotografa?» domandò Hoseok.
«No, eravamo talmente stanchi che siamo tornati a casa senza di lei. Ma che domande fai? È ovvio che l'abbiamo trovata» ribattè Yoongi, col suo solito tono secco e freddo. «Anzi, Jungkook l'ha trovata».
Il minore, a sentirsi nominare, alzò leggermente la testa, guardando con occhi sempre più piccoli il blu di capelli.
«E sta bene?» chiese Namjoon.
«Dice che oggi vuole lasciare l'America per tornare in Corea» a rispondere fu Jungkook, quasi in un mormorio.
«E perchè? Il tour è iniziato da pochissimo».
«Un casino... ma non voglia di raccontarlo adesso, lasciatemi riposare un pochino» Jungkook si sdraiò sul pavimento, poggiando la testa sulla gamba di Taehyung, seduto accanto a lui. Per il resto della mattinata, il gruppo provò qualche coreografia per il concerto che si sarebbe tenuto la sera stessa. Naturalmente i due belli addormentati non fecero granchè, infatti, dopo sole due ore, crollarono a terra sfiniti, implorando il coreografo di riprendere il pomeriggio, dopo una lunga dormita.

***

Kyung-Mi si alzò presto quella mattina, nonostante avesse dormito solamente due ore, e chiamò immediatamente il manager rimasto in Corea per avvisarlo della sua partenza. All'inizio non fu tanto d'accordo ma, dopo avergli raccontato tutta la situazione, non indugiò oltre e accettò. Dopo altrettante due ore passate in aereoporto e i risparmi di un mese di stipendio sciupati con un unico biglietto d'aereo, Kyung-Mi prese il primo volo per Seoul e raggiunse la capitale in quattordici ore strazianti. Per fortuna ebbe l'occasione di dormire un po'.
Non ebbe nemmeno il tempo di posare i suoi bagagli nel suo appartamento che corse immediatamente nell'ospedale dove suo padre era ricoverato, incontrando non solo occhiatacce da parte di pazienti in attesa e medici, ma anche una madre dormiente seduta su una delle sedie lungo il corridoio. Da quanto tempo era rimasta lì? Probabilmente troppo, considerando il suo aspetto a dir poco trasandato e non curato. I suoi vestiti non erano i soliti abiti eleganti con cui la donna di solito usciva, ma indossava una semplice e rovinata tuta di finto velluto, che usava quotidianamente per stare in casa. E i suoi capelli biondi e boccolosi erano raccolti in un disordinato chinnion alto, con qualche ciuffo lasciato andare di qua e di là.
Non volendola svegliare, accostò la sua valigia accanto al corpo della mamma e cercò il medico più vicino.
«Mi scusi» la bionda arrivò davanti agli sportelli principali dell'ospedale, dove la accolse un'infermiera sulla cinquantina. «Sono la figlia del paziente alla stanza duecento cinque, mi sa dire chi è il medico responsabile?».
La donna fece vagare il suo sguardo lungo tutto l'elenco dei vari medici dell'ospedale, trovando finalmente il nome del tutore del padre.
«Eccolo qui! Kim Cho-Hyun, è il capo del reparto di terapia intensiva» rispose lei.
Kyung-Mi sgranò gli occhi sentendo nominare il nome del suo amico, e rendendosi conto che era diventato capo di un intero reparto.
«Cho-Hyun?».
L'infermiera annuì.
«Può dirmi dove si trova?».
«Signorina, probabilmente starà visitando qualche paziente, non lo posso sapere».
«Oh, okay, grazie comunque».
La ragazza in qualche modo si sentì sollevata che suo padre era capitato nelle mani di una persona di cui si fidava, Cho-Hyun conosceva bene il suo nuovo paziente e avrebbe fatto di tutto per salvarlo. Naturalmente, se le condizioni non erano buone, non avrebbe potuto fare molto.
Kyung-Mi aveva solamente bisogno di parlargli, per sapere come stava procedendo e se c'era qualche possibilità che lui potesse sopravvivere, purtroppo dalla chiamata della madre non ebbe molte notizie.
Tornò dove l'aveva lasciata, sedendosi proprio accanto, e incrociando le braccia nell'attesa che qualcuno si facesse vivo.

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