capitolo quarantadue

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Fu un risveglio abbastanza traumatico per il gruppo. Quella stessa mattina avrebbero avuto il volo diretto verso Newark per le tappe finali del tour in America. Erano emozionati all'idea di ritornare in uno stato maestoso come quello: amavano gli enormi grattacieli di New York, le luci a led di Los Angeles, il sole e l'arte di Hollywood, le sabbiose spiagge di Miami e le affascinanti strade di Chicago. Era un posto che avevano sempre osservato con ammirazione, se ne innamorarono fin dalla loro prima volta in California, quando girarono una serie per il canale dei Bangtan, e si ritrovarono parecchie volte a dover ritornarci. Grazie al loro successo oltre oceano erano riusciti a creare delle radici anche in quel paese da sogno, oltrepassando ogni aspettativa.
In parte consideravano l'America come una delle loro molteplici conquiste.

Il loro primo concerto si sarebbe tenuto il giorno dopo, proprio a Newark, seguito da altri due in Anaheim e uno a Rosemont. Dopo di che si sarebbero concessi una meritata pausa, che del vero significato di “pausa” non aveva proprio niente. Dopo tutto ciò che accadde era indispensabile sia per il gruppo che per l'agenzia fare mente locale e trovare la migliore soluzione. Bang PD venne a conoscenza dell'accaduto solo il giorno dopo che Hoseok postó il video sul loro profilo Twitter, fu lui personalmente a cancellarlo e ad ordinare delle parole di scuse da parte dell'agenzia. Dire che l'aveva presa male era poco: era sempre stato un tipo pacato, ma se si trattava della sua band, i ragazzi che aveva cresciuto e tenuto sotto la sua ala per ben dieci anni, allora diventava tutt'altra persona.
La goccia che fece traboccare il vaso fu quando venne a scoprire del disastro che il maknae, Jungkook, fece al viso di Hoseok. Namjoon tentò di scusarsi e far placare il suo animo da omicida con una chiamata, ma sembrava non funzionare. Erano all'aereoporto, stavano attendendo l'imbarco imminente su un jet privato. Hoseok era uscito dall'ospedale durante la notte, per fortuna i danni erano facilmente nascondibili con del trucco se non il labbro spaccato. Disse allo staff presente che avrebbe partecipato al concerto, seppur con qualche acciacco, ma non sarebbe rimasto fermo mentre gli altri si esibivano.
Era teso come tutti gli altri, quella mattina, seduto su una delle scomode sedie dell'aeroporto, insieme al resto dei ragazzi. C'era chi era vigile e sveglio mentre sorseggiava del caffè o semplicemente ascoltava musica, nonostante la notte faticosa, e c'era chi preferiva rimanere in disparte a recuperare le ore di sonno perse.
Jungkook era uno di quelli, si sedette accanto a Jimin e si stiracchiò per bene, chiudendo gli occhi e coprendosi con il cappuccio della felpa.
Taehyung e Jimin l'avevano visto rientrare in camera sua la sera prima, ma non seppero niente di come andò la serata dopo che quest' ultimo scrisse alla fotografa di presentarsi alla camera del minore. Certo, avevano fatto delle ipotesi, ma conoscevano Jungkook e sapevano che non era il tipo da fare certe cose così frettolosamente.
La conferma arrivò qualche minuto prima, quando Kook era ancora abbastanza sveglio da poter interagire con gli altri membri. Kyung-Mi arrivò di corsa all'aeroporto, affiancandosi alla collega Shin, che esasperata cominciò a rimproverarla.
«Si può sapere dove sei stata per non rientrare in camera tutta la notte?! Non hai idea del colpo che mi hai fatto prendere! E il cellulare? Spento come al solito vero? Quando imparerai ad avvisare?!» le sbraitó contro, mentre erano impegnate a fare il check-in. Alcuni addetti le guardarono male, qualcuno si offrì persino di dare una mano, ma la straniera sembrava infischiarsene e continuava a sorridere come un ebete.
Fu lì che Tae e Jimin si scambiarono un occhiata, capendo immediatamente cosa fecero quei due da soli nella stessa camera d'hotel.
Ora lei era impegnata a telefonare chissà chi fuori dalla sala dove i Bangtan stavano aspettando, sembrava anche piuttosto presa dalla conversazione a giudicare dal suo continuo gesticolare. Non era nervosa, era solamente agitata.
Jimin osservò il più piccolo, Jungkook, con uno sghembo sorriso, mentre sonnicchiava a bocca aperta sulla sedia scura. Si voltò poi verso Tae, ridacchiando.
Il gruppo si risvegliò leggermente quando il leader alzò la voce, non era suo solito gridare contro il loro manager.
«E cosa vuole fare?! È un ragazzo di vent'anni, non può costringerlo a tagliare i legami con chiunque!» sbottò al cellulare, sbattendo la sua borsa a terra. «Se fosse stato al posto suo avrebbe fatto la stessa cosa! Aish, cerchi di essere umano!»
RapMon era l'unico capace di tenere testa a Bang PD, non era un caso che fosse stato scelto come leader. I ragazzi volsero lo sguardo verso la figura del ragazzo che, nervosa, camminava avanti e indietro per la sala, a volte si stropicciava gli occhi con le mani, altre si mordeva l'interno della guancia per l'agitazione.
«Senta, faccia quello che vuole, ma non si aspetti l'approvazione del gruppo, okay?! Buona giornata» e detto ciò, chiuse la chiamata e si lasciò andare a peso morto su una poltrona al centro della stanza, sospirando. Forse si pentì del tono che usò con un uomo dell'età del loro manager, in Corea era considerato atto di enorme mancanza di rispetto urlare in quel modo ad un individuo di mezza età.
Forse era stata la tensione repressa, o lo stress tenuto dentro per troppo tempo, a farlo esplodere in quel modo. E in quel momento capì i comportamenti di Jungkook più che mai.
«Com'è?» si osò a chiedere Yoongi, con tono stanco.
Namjoon si sistemò la giacca che aveva indosso, passando poi una mano tra i capelli.
«PD-min vuole licenziare Kyung-Mi non appena tornerà in Corea» ripetè ciò che gli era stato riferito, sospirando. «E prenderà provvedimenti seri nei confronti di Jungkook. Ha violato il contratto dell'agenzia e deve pagarne le conseguenze».
«Perchè mai avrebbe violato il contratto?» chiese stupito Hoseok.
«Non l'hai letto prima di firmarlo? Non ci si più impegnare in relazioni d'amicizia o affettive con una persona che non sia parte dello stesso gruppo» spiegò serio Namjoon. «E Jungkook ha espressamente mostrato su un social ciò che prova per la fotografa, perciò non ha altra scelta».
«Assurdo» sibilò Seokjin, accavallando le gambe.
«Tutto ciò è assurdo, non solo il contratto» sbiascicó Jimin, seduto di fronte al leader.
Quest'ultimo voltò la testa verso il rossiccio di capelli, preoccupato. Aveva ancora dei cerotti sul labbro, i lividi stavano diventando violacei e l'interno dell'occhio sinistro era leggermente arrossato.
«Come stai?» gli chiese.
«Mi brucia un po', ma va bene».
«Sei davvero sicuro di voler esibirti?».
«Ce la faccio, davvero».
I sette, poco dopo, ricevettero l'invito a salire a bordo del jet, così furono costretti a risvegliare il minore.

Pellicola » |J.Jk.|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora