capitolo trentasette

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Le strade di Seoul erano desolate quella sera. La vita era concentrata nelle discoteche e nei locali, accesi da led luminescenti e musica ad alto volume ovattata dalle mura di quei locali.
All'esterno di essi, dentro un piccolo taxi pubblico, Kyung-Mi si stava dirigendo verso l'aeroporto di Incheon, accompagnata da tanta emozione oltre ai suoi bagagli.
Il suo compleanno quel giorno lo aveva passato nella più totale solitudine, persino sua madre se ne era dimenticata; Kyung-Mi non si arrabbiò affatto, dopo ciò che era successo, festeggiare un compleanno non era niente di che. Però, considerate le ore di differenza dalla Corea al Brasile, quando sarebbe atterrata era ancora il pomeriggio del venti marzo, perciò aveva ancora un intera giornata per poter festeggiare con Shin e i ragazzi.

Abbandonando tutte le sue preoccupazioni dentro quel taxi, entrò nell'aeroporto con il suo biglietto aereo stretto fra le dita.
Il volo che l'attendeva era lungo e massacrante ma, facendo due calcoli, sarebbe arrivata a San Paolo giusto alle prime ore del pomeriggio, qualche ora prima del concerto dei ragazzi.
Si sarebbe riposata, avrebbe salutato Shin e i ragazzi dello staff e, prima dell'entrata in scena, avrebbe riabbracciato i Bangtan.
Non vedeva l'ora.

***

«Kook-ah, sei sveglio?» dietro la porta della camera del minore si era fermato Namjoon che, con ogni preoccupazione per non averlo visto dopo il concerto, aveva deciso di tenerlo sott'occhio.
Jungkook era sveglio, anzi, avrebbe voluto esibirsi di nuovo nonostante le ore su quel palco.
«Hyung?» lo richiamò il giovane, sedendosi sul materasso del letto d'hotel.
La porta si aprì, rivelando la figura possente del leader, che indossava una tuta nera della Puma e teneva i capelli scompigliati e umidi.
Sorrise notando lo sguardo stanco del minore, sembrava avesse dormito poco durante la notte.
«Sei riuscito a dormire?» gli chiese Namjoon, avvicinandosi a lui.
Jungkook annuì, strofinandosi un occhio con la mano.
«Perchè prima del concerto di oggi non ti riposi ancora un po'? Ti farebbe bene».
«Che ore sono?» fece, cercando nella stanza un orologio.
Namjoon fu più veloce e, afferrando il cellulare del minore, lesse i numeri apparsi sulla schermata di blocco. Oltre a quello, però, il suo sguardo si concentrò sullo sfondo che aveva impostato: una sua foto in compagnia della loro fotografa, Kyung-Mi, durante un servizio fotografico. Se lo ricordava quel giorno ma non fece caso ai due, forse era troppo concentrato sul suo lavoro.
Il moro si accorse dello sguardo del maggiore, cercò di prendere il suo telefono il prima possibile ma il leader fu più veloce, afferrando il polso di Jungkook.
Si guardarono negli occhi: Namjoon era preoccupato, sapeva della sua attrazione verso quella fotografa fin troppo bene, ma ora stava diventando complicato.
«P-puoi lasciarmi?» pretese balbettante Jungkook, ricevendo in risposta il consenso del maggiore.
«Kook».
«Lo so, Hyung, sono consapevole di ciò a cui sto andando incontro» disse, prima che il leader potesse dire qualcosa. «Ho provato a fermarmi, ma non ci riesco».
Namjoon sapeva che purtroppo Jungkook non aveva colpe: era un esser umano per giunta giovane, provava sentimenti come tutti gli altri e sentiva attrazione fisica come ogni persona normale.
«È okay» rispose il maggiore.
Il moro rimase sorpreso dell'affermazione di Namjoon, sembrava convinto e non era pentito di ciò che aveva appena detto.
«Non sei arrabbiato?» gli chiese, con tono preoccupato.
Namjoon inarcò le labbra in un dolce sorriso, rendendo ancora più confuso il povero Jungkook.
«Non ne avrei il motivo. Sei un ragazzo anche tu, è normale ciò che provi per Kyung-Mi» spiegò, mantenendo sul suo viso quell'espressione comprensiva e tenera che ha un padre con il proprio figlio. «Non posso far altro che metterti all'erta, dovrai essere molto cauto in futuro».
Jungkook sospirò, abbassando lo sguardo.
«Purtroppo lo so».
Il giovane sentì le mani del suo hyung sulle spalle, che lo fecero alzare il viso.
«Noi saremo sempre pronti per sostenerti, okay? Qualsiasi cosa accadrà, se deciderai di rivelarlo o no, io e i ragazzi ti staremo accanto in ogni occasione» quelle parole fecero quasi commuovere Jungkook che, in tutta risposta, si buttò fra le braccia di Namjoon per poterlo ringraziare.
Cosa avrebbe fatto se non ci fossero stati i ragazzi? Probabilmente si sarebbe arreso e a quel punto avrebbe mandato a puttane la sua intera carriera.
«Grazie, Hyung» mormorò il moro, col mento appoggiato alla spalla del leader.
«Ti voglio bene, Kook-ah» rispose. Si staccò dalla sua presa, allontanandolo quasi a fatica per poi guardarlo dritto negli occhi. «Ora però voglio sapere un po' di voi due».
Ciò fece sorridere dall'imbarazzo il maknae, sedendosi di nuovo sul letto e nascondendo il viso tra le mani. Namjoon lo conosceva bene e sapeva che qualcosa era successo.
«Dai, Jungkook-ie~».
«Aish, ti prego!».
«Ora voglio sapere!» esclamò Nam, affiancandolo sul letto.
Jungkook sapeva che con Namjoon non aveva scampo, lui era forse l'unico che sapeva davvero dare consigli in fatto di donne e relazioni. Da quel che sapeva, era infatti il solo nel gruppo ad aver avuto esperienze importanti, e di ciò ne raccontava sempre nei testi delle canzoni. Mentre per gli altri era un tantino diverso: il fatto di essere star famose non dava la possibilità di avere ragazze e fare sesso a destra a manca, come invece le pop star americane facevano.
«Partiamo lentamente: qualcosa è successo, no?» chiese il maggiore.
Jungkook annuì, sentendo le orecchie farsi sempre più rosse e le gote accaldarsi.
Il leader cercò di rimanere impassibile, anche se stava iniziando a sentire un velo di emozione nel suo stomaco.
Il suo piccolo Jungkook, il ragazzino quindicenne che aveva conosciuto appena cinque anni prima, era cresciuto troppo in fretta.
«Ed è qualcosa di soft o roba da uomini?».
Quella domanda sembrava così strana che fu difficile per il minore interpretarla, ma alla fine capì tutto.
«No! Hyung, ma mi immagini?».
«Bhè, gli anni ce li hai».
«Ti prego, smettila».
RapMon rise alla timidezza del minore, che invece cercò di placare i suoi istinti omicidi verso il ragazzo di fronte a sè.
«Vi siete già baciati?».
«F-forse».
«Quindi e un sì, ottimo lavoro direi» disse. «E le hai già proposto di diventare la tua ragazza?».
Jungkook arrossí violentemente, la sua espressione mutò in pochissimi istanti. Non aveva ancora pensato a quello, di certo non dopo tutto ciò che era accaduto.
«È giusto farlo?» chiese al maggiore, agitato come una corda di violino.
«Se la ami davvero, sì» ribattè.
«Ma il manager, le fan... cosa penseranno?».
Il leader riusciva a palpare con le sue dita tutta la tensione che aveva in corpo il povero Kookie, dopotutto anche lui, se fosse stato nei panni del giovane, avrebbe reagito allo stesso modo.
«Non sei obbligato a doverlo rivelare subito, non appena sarai pronto e anche Kyung-Mi sarà d'accordo, potrai prenderlo in considerazione» rispose. «E non devi prenderla con così tanta angoscia, essere innamorati è la cosa più bella del mondo».
Jungkook sorrise di nuovo, abbassando lo sguardo.
Prima o poi sarebbe diventato pazzo, poco ma sicuro.
«Davvero, Hyung, non so come potrei fare senza di voi».
«Ora non pensarci, ti lascio riposare in pace» annunciò il maggiore, alzandosi dal letto e avanzando verso la porta. «A mezzogiorno davanti all'hotel, intesi?».
«Certo, capo!» esclamò il moro, mettendosi sull'attenti proprio come un soldato.
Namjoon ridacchiò, per poi uscire dalla stanza e lasciare Jungkook in balia dei pensieri.

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